Si è consumata un’occasione di riflessione sul perché ci sia il desiderio di fine. Lo thanatos che accompagna la razza umana, che gira in negativo gli impulsi, le opportunità.
A parte i giulivi, il rimettere in ordine le cose, eguagliando e spianando il passato, che significa? Tutti abbiamo molto da perdere, eppure questo desiderio occulto, scacciato, è presente nel profondo. Forse è l’esorcizzare la paura di ciò che è accaduto un tempo e di cui portano memoria i geni, o forse un senso di colpa atavico che vira verso l’oscuro, oppure ancora l’infanzia dell’umanità che è giovane e pur parlandone molto, non conosce bene il valore della vita. Forse.
In realtà ogni giorno il nostro mondo finisce un po’, demolito da noi con costanza e leggerezza degna di ben altre imprese. Eppure è bello dire ai bambini: oggi hai un giorno tutto nuovo da vivere, vivilo, non curarti troppo del ieri. E’ bello questo pensiero e incompleto, perché ogni giorno realizziamo una piccola fine di un pezzetto del nostro mondo, quello che serve a noi umani e a qualche altra decina di migliaia di specie mute.
Perché lo si faccia con sistematicità, smemoratezza e fiducia infinita di farla franca, non so, però accade e continua ad accadere. E se lo si insegna ai bambini, un qualche divertimento ci dovrà pur essere. Credo sia per questo che ci si preoccupa di una fine del mondo subitanea: ci serve tempo per distruggere tutti i giocattoli che ci hanno regalato.