correre con l’animale

Si snoda il racconto di una storia oscura, dice di cose evidenti, ma parla anche d’altro, di un sottofondo che la sorregge e non emerge. E’ una di quelle storie che non si capiscono bene, estratta dal fondo melmoso che ciascuno si porta dentro. Sembra semplice, ed invece è complessa, fatta com’è d’ un malessere che ha più nomi: quello contingente, ed è ciò che viene vissuto, ed altri nomi apparentemente più lontani. Reminiscenze, sorta d’ aliti di antichi pasti mai conclusi, che fanno capolino e sembrano non c’entrare. Difficile dar loro nome perché sono storie parallele all’esterno, vicende apparentemente già terminate e che si annodano in chi racconta. Semmplicemente ci sono e confluiscono tutti nello star a disagio con sé. Questo è il sentirsi vero, ed il racconto cerca di dare evidenza ad una serie di fatti, parla di particolare e di generale assieme, e prova, con fatica, a mettere assieme ciò che è distante e si dovrebbe davvero cambiare, con quello che è più vicino e pare avere decisioni semplici. Ma esiste una decisione che riguardi profondamente e che sia davvero semplice?

In fondo il racconto è ricco di quelle richieste di intuizione che generano puntini che attendono nomi. Ed in quei puntini c’è la misura della richiesta di partecipazione, sono piccoli-grandi vuoti che si generano quasi da soli per far capire che il racconto è ben più complesso dell’evidenza. L’evidenza è una ferita che deve essere ripulita, suturata, ma il motivo per cui si è generata è anche in quelle sospensioni. Il racconto è un processo curativo, prima che salvifico, e come ogni cura mette in discussione il rapporto con il medico, ci si deve fidare e la comprensione è richiesta con la parola, e il silenzio. Anche il pensarci, senza la proposta di una soluzione, va bene, ciò che urta è la proposta facile che dice: bisogna cambiare per star bene. Per questo non serve un racconto, chi racconta sa che non va bene e sta cercando con fatica una via d’uscita.

La meccanica semplice ed oscura, è fatta di racconto, ascolto, reazione, e se l’ascolto è giudicato insufficiente, a questo punto confluisce in una chiusura-reazione.

La difficoltà raccontata, è di quelle profonde, un malstare da scelte in gestazione, oppure da scelte che non verranno prese, ma che comunque interferiscono fortemente con il concetto di star bene.  E’ eccessivo pretendere attraverso un racconto una svolta, chi parla lo sa, e forse quello che vuole questo raccontare è un aiuto a decidere fatto di partecipazione e rispetto, una comprensione della difficoltà, non una soluzione. Ciò che il racconto della difficoltà d’essere, narra, ovvero il capire la ferita e il suo legame con altro.

Il limite della parola è questo, pensare che questa sia in grado di rappresentare davvero il malessere, oltre la partecipazione  empatica di chi ascolta. E’ il limite dell’analisi che si esaurisce nella parola, senza una nuova storia da scrivere, e chi racconta si chiude nel momento in cui sente l’ascolto come non adeguato al dolore e alla sua complessità. Mentre sa benissimo che la semplicità sarà fatta di molti nodi da sciogliere con difficoltà, e per questo rifiuta il consiglio, e vuole la partecipazione, magari silente.  Un effetto del racconto può essere l’aggressività, ovvero la reazione che ribalta sull’altro l’insufficienza. In sostanza ci si chiede con rabbia perché non capisce e lo si traduce nel vedere la sua fragilità: ma tu che sei debole come me, come puoi avere le idee chiare? Se tu stesso stai male, mi stai parlando di ciò che ti infastidisce nel mio malessere, quando mi proponi soluzioni apparentemente facili? E perché non le applichi su di te?

Quando scatta questo meccanismo di reazione, può esserci solo la rivalsa, a volte la rabbia che fa dire parole eccessive che parlano d’altro e poi il ritirarsi verso la coscienza che è difficile uscirne se non attraverso se stessi, ed allora il senso di solitudine è grande.

Controllare il balzo della bestia, ammansirla, convivere, è un mantra. Dal racconto, fattosi soliloquio muto, sembra emergere un tentativo di conclusione: correre con l’animale, riconoscerne il senso del pelo, capirlo senza la pretesa di esaurirlo. Ma è un tentativo, perché anche da soli, il racconto è sempre un dialogo a più uscite e soluzioni-