l’orto di casa

 

Ho visto uomini e donne bellissimi in Senegal. Camminavano nella polvere che viene dal Mali,  giocavano con i bimbi sul mirador, entravano nell’oceano ridendo, dopo aver corso sulla spiaggia. Non mi hanno mai lasciato il tempo di pensare: chissà cosa pensano davvero?  Mi pareva coincidesse il gesto col pensiero.

Ho visto uomini e donne bellissimi.  Vendevano pesci sulla spiaggia, si coprivano il viso se eri indiscreto, ti offrivano cibo prezioso per loro e difficile per noi, pregavano 5 volte al giorno restando animisti, meditavano guardando il mare.

L’ africa è una soglia che s’ apre con una tenda, le porte sono ornamenti senza sicurezze: noi chiudiamo e loro lasciano che una tenda ondeggi alla brezza della notte. Cumbacarà è una porta, Kolda è una porta, Dakar è una porta, la Gambia con il fiume che si solca con un arco largo è una porta.

L’africa è un continente a perdere, han detto sommessamente gli gnomi dell’economia, materie prime in cambio di rifiuti, carità al posto dell’autosufficienza, ma questo, gli africani,  non lo sanno, non lo vogliono sapere e neppure si rassegnano all’evidenza. E’ per questo che avranno futuro, perchè non ci ascoltano.

Si allenano, mentre riposiamo in riva al mare. Si allenano, mentre ascoltiamo musiche fatte di suono puro, di ritmo senza tecnologia. Si allenano nelle notti percosse dagli jambè, si allenano alzandosi con il sorgere del sole, passano da un lavoro all’altro senza angoscia, pensano cambierà.

Per noi è ancora la notte senza leoni che si riempie di rumori, di fruscii e correre di zampette, è la notte in cui davvero riposa il sole, è la notte sudata che sovrappone pensieri di panna acida: l’occidente si può bere, ma non metabolizzare. L’hanno capito loro, dovremmo capirlo noi.

Ascolto idee semplici che parlano di credito rotativo delle capre, di sementi. Noi siamo complicati, ma adattiamo i sensi di colpa al bisogno, portando soldi per acquistare greggi e fare orti.

Le donne bianche chiedono dell’infibulazione, del dolore inutile che viene inferto, parlano di dominio dell’uomo, di potere reiterato. Non si capisce quanto sia diffusa questa tragedia femminile; con l’istruzione la pratica si allontana, dicono. Quanto lontano non si sa, ma in Guinea si fa ancora, dicono. E il confine è appena oltre le risaie del villaggio.

Il rappresentante di 53 villaggi della Guinea Bissau ha un berretto trapunto d’oro e la veste ricamata. E’ arrivato per chiedere che una frontiera tracciata dai bianchi non sia il muro per contenere la miseria e il bisogno. Aspetta il suo turno mentre parlano le donne – sono loro le protagoniste-, gli verrà concesso di parlare alla fine. Ogni giorno è giorno per le donne. Vanno a scuola con i proventi dell’orto e delle capre . Chiedono spazi in politica, vogliono partecipare all’ amministrazione dei villaggi, alla gestione dei beni comuni. L’autosufficienza alimentare che parte dall’orto di casa, permette di pensare, di fare richieste sui ruoli e meriti.

Gli uomini apparentemente lasciano fare. Adesso i bimbi vivono meglio, gli anziani sono rispettati e le nuove prassi hanno anche una loro saggezza. Chissà cosa accadrà quando emergerà davvero il cambiamento.