Parlerò poco di foglie, forse solo questa volta. In autunno bisogna pur trattenersi, anche perché la consistenza della foglia secca sulle dita non interessa a nessuno e quindi in realtà si parla del colore e del calpestare. Per il primo sarebbe più semplice parlare del pantone, ne avremmo per tutta la vita e anche di più. Quindi trionfi di gialli, rossi, aranciati (che bella questa parola da bere) stagliati contro un verde che brunisce e s’impacca, insomma una gioia transeunte per gli occhi che se la bevono felici, ma oltre al colore che sfuma, muta e vira inevitabilmente al marrone come punto finale ( che sia per questo che il marrone è colore da vecchi ? ), un classico è il rapporto tra piedi e foglia, un misto di udito e tatto dove il tatto è pur sempre mediato da una scarpa, eppure si sente una sensazione positiva oltre la suola. Potrebbe essere una pubblicità di scarpe: il benessere oltre la suola. La parola che definisce questo suono di calpestio spesso è crocchiare, le foglie bagnate sono molto meno interessanti, afone e pure scivolose. Crocchiare evoca qualcosa da mettere sotto i denti, qualcosa che risuona nel cervello e nel carnivoro che ci portiamo dietro da sempre, quello che si mangiava tutto, ossi compresi. Magari in testa si associa il crocchiare al croccante ed una dolcezza autunnale trova il suo corrispondente di stagione nella natura, tutto un consonare piacevole, acqualinoso che fa dell’autunno una stagione saporosa e odorosa.
Comunque sia le foglie crocchiano perché sono secche, non perché abbiano un’attitudine al crocchiare, loro preferivano trasudare fotosintesi, ma tant’è, si adattano anche ai nostri piedi calpestanti, trituranti, scalcianti. Ecco tre azioni che ci riportano al bambino che abbiamo dentro, quello che sente i piedini solleticati dalle foglie, che ha un oggetto soffice e rumoroso che può essere preso a calci e scatenare energia, è per questo che ride, modifica il mondo, lo frantuma ed al tempo stesso lo sente alla sua portata. Un senso di dominio delle cose che non può che rendere allegri. Ecco, quel bambino che si nutre di suoni e di colori in autunno può ancora espandersi, correre, sentire che il mondo muta eppure è sempre bello. Il senso dell’autunno e delle foglie non è forse questo? Il mondo muta e ci stupisce e ci consente di vivere nel giorno. Il bambino che abbiamo dentro non pensa alla primavera, alla prossima estate, ogni sera, quando va a dormire, ha una sottile paura del buio perché ha paura che la luce non torni ai suoi occhi, per questo ha bisogno di vivere ciò che ha, di consumarlo.
Così adesso mi godo assieme al bambino che m’accompagna, il colore e il suono delle foglie, lascio che entrino dentro, provochino felicità di esistere. Sapete da dove deriva la felicità di esistere, dalla meraviglia, dall’inatteso, le foglie che mutano sono inattese, il bambino ci trasmette il sorriso e l’autunno comincia a promettere nuove meraviglie.
