fidare

C’è stato un tempo in cui si incontravano le parole, erano esatti pezzi d’incanto fatto di confidenza, intimità, fiducia, desiderio. Tutto poteva essere detto perché si annodava in un procedere assieme. No, non poteva esserci alcun male e quindi timore. Parole dette in attesa dell’amore o stesi dopo averlo fatto, guardando il soffitto per ascoltarne meglio il suono, erano parole sussurrate, criptate per orecchi estranei, inzuppate del senso infinito che solo un rapporto profondo può avere. Non di rado erano parole titubanti per la grandezza che contenevano, eppure coraggiose per il presente che scrivevano. Parole senza paura che aprivano porte, che innocenti affrontavano la verità senza timore. Parole dolci e appaganti che riempivano e stremavano di dolcezza. Parole trattenute, oppure sciolte in un silenzio sorridente, lasciando al corpo il compito di dire. Parole svergognate, felici di mostrarsi a quegli occhi che soli potevano vederle. Parole così intime che non si sarebbero dette a sé.

È un tempo che volendo si rinnova e di cui la parola è segnale del fidare e fidarsi.

Fidare ha un senso arduo quando, attorno, il potere cospira per esaltare la minaccia. Nessuno ne resta immune anche dentro le mura, perché sibila tra noi, mette inquietudine e fa tacere, mentre fidare è una riflessione che si abbandona, che mentre coglie il buono ha l’urgenza del raccontare. E in molti modi lo dice, con i linguaggi di tutti i sensi; così fidare è controcorrente, e fa bene anche su chi ci è vicino, rassicura e tiene assieme. Più stretti, con parole che raccontano ancora di noi e non solo dei suoni che stridono oltre le finestre. Certo è difficile cogliere la sfumatura che apre un uscio e non temere la luce, ma che saremmo noi senza le nostre verità sussurrate che diventano fare, azione, vita? 

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