l’abito e il monaco

Giacca e camicia bianca, sì, cravatta no. Meglio l’abito scuro, evitare il pastello. La divisa dei dirigenti pd non concede molto alla fantasia. Qui il Formigoni pensiero non ha allignato. Per fortuna, in tutti i sensi. C’è una visione ottocentesca del dirigente progressista, da borghese che parla e persegue cose differenti rispetto all’abito. Era così anche nei funzionari del pci, abito scuro per i comizi e camicia bianca, come i contadini quando volevano protestare. I rivoluzionari e i teorici della rivoluzione non erano descamisados, mettevano anche nell’abito il carisma, la compostezza di un pensiero che andava alla radice, rivoltava la malapianta, faceva emergere un futuro diverso, dove l’uomo stava bene e non veniva sopraffatto dall’uomo.

Il dirigente attuale, dipende se populista o meno (anche nel pd il populismo ha allignato), nell’abito porta il discorso, le idee. La proposta politica ed economica no, perché quella non l’ho ancora sentita, casomai le allusioni ad essa. Poi in questa stagione di feste del pd, si è diffusa la moda dei talk show o dell’intervista, il discorso non è comizio ma dialogo con un intervistatore. L’intervistatore si sceglie in campo non immediatamente amico, così si toglie l’alea che ci sia una combine e poi lo si invita ad essere libero: domande anche scomode. Quasi tutti lo fanno davvero perché le domande sono le solite e nella testa di tutti: perché il pd non vince? Nelle risposte l’abilità sta nel convincere senza dire che si è sbagliato molto, che non si è capito bene cosa accadeva. Un tratto comune è quello del non dare colpa all’elettore, ossia appena un poco, accennata, come a dire: se siamo nella cacca non è mica tutta colpa nostra, tu come hai votato? Dov’eri quando ti disfacevano il Paese lisciandoti il pelo?

Il passato però non fa bene a nessuno e quindi il discorso sfuma, anche perché i fatti hanno una loro forza che andrebbe imbrigliata, ricondotta verso un destino comune da raccontare chiaro e limpido. Ecco, questa del destino comune è una narrazione zoppa, si evidenziano le tinte corrusche, le difficoltà, ma cosa ci sia oltre il livido, è avvolto nel buio. L’economia sembra una gabbia da cui, non solo non è possibile uscire, ma che ha poche possibilità di essere modificata nei vincoli. Qui manca un pensiero robusto, di pensatori lunghi e forti che interagiscano con la politica, la condizionino nell’intelligenza e nella visione della realtà, propongano soluzioni da dibattere e questo si sente.

In altri casi dall’intervista si torna al comizio, reinterpretato come spettacolo, Renzi è bravo in questo, ha capito che per arringare bisogna usare frasi brevi, praticare l’arte del mordi e fuggi, cucire la battuta con la realtà, che significa conciliare l’assurdo con il reale, usare immagini più che metafore, perché le metafore esigono ripensamento eppoi sono pericolose quando si trasformano in slogan. Bersani non l’ha ancora capito, anche se ha un pensiero più solido e consapevole, sofferente nel dire, ma per un po’ i giaguari sono al sicuro, nessuno li smacchierà più. In Renzi la sostanza latita, viene rinviata, manca cioè il pensiero politico forte a medio termine, si capisce più o meno cosa si farà subito, ma perché non si sa. In realtà la categoria dell’emergenza ha contagiato tutta la politica e attira con il fascino del quotidiano, del sondaggio che assicura di essere amati, producendo una tendenza al consenso, al lisciare il pelo e dire ciò che chi ascolta vorrebbe sentirsi dire. Con ciò si perde di vista la necessità che ci sia sostanza in ciò che viene proposto e che i no abbiano una loro necessità, ma anche un beneficio futuro. Da Renzi non ho capito ciò che vuole per sé e se il pd è per lui strumento, oppure se si metta al servizio di una proposta, che non è ancora enunciata, che diventi di tutti e da perseguire comunque, anche oltre la sua persona.

Il dibattito sulle proposte è cosa che latita assai e a parte i contributi di Barca, non ho letto nulla che sia davvero una prospettiva a largo spettro, ma questo è altro discorso.

Comunque, tutti hanno imparato da Veltroni, che per dare accento al discorso, arringare, se si è da soli su un palco, ci si toglie la giacca, si arrotolano le maniche della camicia bianca e non si mostra la canottiera come fece Craxi in un congresso del psi, al più la maglietta della salute come fa Landini, sintomo di attenzione al benessere.  

Però esistono anche le frange, i folletti che praticano un abbigliamento più fantasioso, Civati ad esempio, e queste tendono a sottolineare che c’è un modo d’essere e pensare alternativo e possibile, restando sé stessi e parlando di politica. Sono minoranza e non ho mai capito bene perché. Forse il modo di porsi, l’abito, e se questo tocchi il carisma non è dato sapere, anche perché il carisma sembra una virtù transeunte nella politica e nel pd in particolare.

Tutti privilegiano l’intelligenza, e questa è buona cosa. Da qualche tempo anche la battuta e la frecciatina interna, fa parte del discorso, per la gioia dei giornalisti credo, ché altrimenti avrebbero problemi a interessare i lettori. Nessuno è in grado di rispondere a una domanda che suona più o meno così: perché questo Paese è governato da una coalizione che nessun elettore ha votato? Al più rispondono con il mantra dell’emergenza, ma la riflessione si ferma a quel punto, forse si dovrebbe dire che tornare a votare senza una prospettiva è prematuro, che le idee mancano, che governare è una cosa e che proporre una evoluzione della società è un’altra.  

Ho parlato solo del pd, degli altri non so che dire, almeno nel pd c’è dibattito, si discute, ci si conta, altrove c’è il pensiero unico, nessuno ha un’idea diversa da quella del leader, non c’è una proposta di futuro che regga il confronto con la realtà. C’è un atteggiarsi, un dire che sposta l’attenzione, ma non riesco a sentire una proposta che si renda conto che pezzi del Paese stanno precipitando. Neppure sul contingente sento proposte vere e così temo che oltre l’abito non ci sia davvero nulla.

6 pensieri su “l’abito e il monaco

  1. Sarebbe interessante confrontare le interviste lasciate dei nostri politici contemporanei,con quelle che lasciava Pablo Neruda. In quanto al vestiario poi,lui non portava certo la cravatta,tuttalpiù un fazzoletto-foulard rosso mentre i suoi abiti erano comunque sempre puliti,a meno che non fosse in fuga da qualche latitanza forzata. Lì c’era solo i “suoi” occhi a parlare del perchè fossero sporchi i suoi vestiti. Che,chiara e trasparente fu sempre il suo operare,affinchè quei valori di libertà e civiltà in cui credeva “fortissimamente”,fossero rispettati come universale giustizia.
    Mirka

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  2. Conosco persone, stavolta soprattutto uomini, che cercano di compensare (invano) la loro mancanza di “mordente”, la loro inettitudine, la loro debolezza con un abbigliamento ricercato, sempre alla moda e spesso molto elegante (sono più o meno gli stessi che poi si dotano di macchinoni costosi).
    Oh, certo, di prima battuta possono anche colpire, in questo mondo fatto di sola immagine e poco costrutto, ma basta poco per scoprire l’inghippo …

    I nostri politici? Prendessero esempio da De Gasperi che andò in America con un cappotto nemmeno suo ma prestato….
    Che sia una serena giornata Will
    🙂

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  3. Certo, quelli come De Gasperi, Will, gli altri non li sopporti nemmeno tu, ne sono sicura.
    Ma purtroppo come De Gasperi non ne vedo in giro e la maggioranza si omologa, si adegua, non si distingue e veste, appunto, divise.

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  4. quella stagione è finita, ma anche quella dopo sta per finire, ovvero quella del potere tronfio, arrogante, meschino. Ne verrà una nuova di stagione e spero che gli uomini che la faranno saranno e resteranno migliori di quelli che verranno messi in disparte. Sì certo, neppure io li sopporto

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