il telefono la tua voce, ma il tuo cuore e il cervello dove sono?

In treno il telefono è davvero pubblico, si sente perché non si può fare a meno e chi parla, spesso, vuol proprio farsi ascoltare. Sento parlare di economia, di euro, di vincoli di bilancio, di Europa, di spread. Si capisce che chi parla deve convincere l’interlocutore su una proposta politica, il nome di Monti viene ripetutamente evocato. Non una parola sulle persone, su chi adesso è davvero in crisi più del Paese perché nessuno gli fa più credito e scivola verso l’indigenza. Non passa giorno che qualcuno non mi chieda aiuto, cosa dovrei raccontargli, dei vincoli del debito sovrano?

Anche la politica di questi giorni è titubante sulla perdita del benessere, perché di questo si tratta: perdita di tutele e di benessere. Queste cose non entrano nel discorso del telefonista anonimo, forse sono banali. Come le categorie di destra e di sinistra, l’ha ripetuto più volte, semplicemente non esistono più, adesso ci sono i problemi. Vorrei dirgli che i problemi hanno approcci diversi a seconda da dove si affrontano e che la diversità è tutta lì. Ma questo mi ricorda che non pochi amici, che da sempre sono stati più a sinistra di me, mi dicono di essere in dubbio se votare Pd o la lista Monti, questo mi fa riflettere che molte posizioni di sinistra sono strutturalmente minoritarie, e sono state espresse da chi comunque una posizione l’aveva. Da chi, nella sostanziale stagnazione del sistema, non aveva una perdita di status e di privilegi se governava la destra, ma adesso che la valanga è iniziata, un buon conservatore che mantiene la parola è più affidabile per mantenere i privilegi di chi potrebbe metterli in discussione. Perché di questo si tratta. Vorrei dirlo al mio vicino che continua a parlare, che senza l’uomo il denaro non è nulla e che la ricchezza di cui parla è virtuale, se non si traduce in vita, in possibilità di partenza eguali, in redistribuzione attraverso il welfare. Ma la cosa non credo verrebbe capita perché adesso sta parlando del fatto che la politica si deve far carico dei vincoli del denaro. Parole inoppugnabili, ma la politica ha la responsabilità delle vite, dei destini, dell’infelicità indotta dalla società ineguale, qual’è la responsabilità civile del denaro, delle banche, dei mercati?

Il discorso continua sull’inopportunità di una campagna elettorale, parla delle difficoltà dell’Italia di essere credibile (forse vuol dire solvibile), come se la democrazia delle elezioni fosse un’optional, qualcosa che compare e scompare a seconda dei risultati del Pil. Credo che questo sentimento si stia diffondendo anche nella parte del Paese abituata ad analizzare ciò che accade, ovverossia che stabilire una maggioranza sia un lusso da correggere, che la politica debba essere comunque soggetta ai mercati. Credo che questo sia la genesi delle demagogie e dei populismi, delle falsità e delle balle che vengono raccontate, e che fanno finta di occuparsi delle persone, ma in realtà nascondono i veri interessi di una parte e all’interno di un condizionamento economico cercano di trarre un vantaggio per pochi.

Dovrebbe essere forte la richiesta di verità, anziché credere e ascoltare le sirene, chiedere perché si fanno le cose, quali sono i vantaggi per tutti, che privilegi verranno ridotti e tolti. In realtà ho già sentito altrove cose stravaganti, come il non riconoscere più il debito o abolire l’industria, oppure tutti i disoccupati a lavorare nel turismo, ma non è quello che sta dicendo il vicino. Adesso è arrivato alle difficoltà dei tecnici, alla sofferenza che hanno dovuto patire nell’assumere provvedimenti impopolari, al premier che fatica a mettersi al giudizio dell’elettorato perché quest’ultimo è volubile.

Sono arrivato, mi volto, voglio vedere il telefonista: è un ragazzo giovane, avrà 35 anni. Non è un operatore di borsa, da come è vestito non sembra neppure un rampante in carriera. Non ha detto una parola sulla disoccupazione e precarietà dei suoi coetanei. Non capisco, mi viene da pensare che quelli che sono tra i più bistrattati dal sistema, debbano essere difesi dai padri, dai vecchi. Continua a parlare, numeri, dati inoppugnabili, quelle cifre che t’inchiodano all’evidenza: va bene, vorrei dirgli, ma come se ne esce tutti assieme, senza cacciare nessuno, senza far pagare a chi non ha colpa? Oppure la colpa è proprio da quella parte che ha sempre pagato?

 

3 pensieri su “il telefono la tua voce, ma il tuo cuore e il cervello dove sono?

  1. hai centrato un bella questione: anch’io tutte le volte che penso a un trentacinquenne, o comunque a un mio quasi coetaneo, tendo a immaginarmelo “dalla parte di qua della barricata”, perché mi immagino che il precariato sia un malessere comune e che al centro dell’attenzione siano le persone e non il denaro e, semmai presenti, delle colpe vadano ricercate nei padri e non nei figli. non sempre è così. e un trentacinquenne che sta dall’altra parte della barricata, alla fine dei conti, fa più rabbia di un settantaseienne allupato che ormai è ridicolo al mondo.

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  2. Ecco Will, effettivamente quel che manca è qualcuno che dica in modo semplice e chiaro come se ne esce, come si fa e cosa si deve fare per uscire dalla situazione in cui ci troviamo.
    Ma sembra che nessuno lo sappia. 😦
    Insomma la tua penultima domanda è la mia, che di riflessioni politiche, economiche, sociologiche non me ne intendo.

    Ciao ciao 🙂

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