La comune difficoltà che accomuna credenti e non credenti in questo nodo di festività che si concentrano intorno al natale, non di rado sfocia nella tristezza e nel desiderio che il periodo passi al più presto. Il peso delle ritualità, anche quelle che nascono per rifiuto o differenza rispetto agli altri, accompagna un senso di privazione di qualcosa non ben identificato. E questo riceve molte risposte, ma il come uscirne, se non attraverso l’attesa che si esaurisca il periodo, molto spesso si arresta alle ragioni razionali.
Questa convergenza di disagio, che quindi non dipende solo dal fatto di credere o meno, dovrebbe far riflettere su quanto, non l’oggetto e la sua immagine, ma piuttosto sull’essenza, ovvero ciò che si vuol rappresentare: la spiritualità, e quanto questa si sia allontanata dall’uomo e questi non sappia bene come trattarla. Da un lato le religioni hanno espropriato la spiritualità dall’uomo e anziché liberarla, l’hanno confinata nelle regole, nei dogmi, nella mortificazione del sé umano. Dall’altro un’operazione analoga è stata creata dal rifiuto del religioso (e delle religioni) di chi non crede, ma non riesce comunque a rispondere alle domande che gli sorgono nel trattare la propria dimensione spirituale se non attraverso la negazione dell’esistenza della struttura religiosa. Questo ragionare arriva all’ateismo per impossibilità di credere e per rifiuto, a volte resta nell’agnosticismo, e tenta di avvicinare lo spirituale al pensiero, riducendolo, per quanto può, nel razionale o ancor più nello scientismo. Comunque sia il disagio e la reattività resta.
Come entri lo spirituale nelle nostre vite, è parte dell’esperienza di ciascuno, ma anche, e soprattutto, dell’accettazione di questa parte essenziale dell’uomo, che non è solo superstizione o bisogno di sicurezza, però esiste e vale almeno quanto il razionale o la parte che assegniamo ai sentimenti nel guidare le nostre vite. L’uomo, noi, siamo tutto questo insieme, nel mescolarsi di dimensioni diverse che danno una direzione, ed il prediligere l’una o l’altra dimensione orienterà le scelte che facciamo nelle relazioni, nel vivere concreto, nel rapportarci con noi stessi.
Sull’eclisse del sacro, sulla superficialità di questi giorni, chissà quanti articoli, blog, riviste manifesteranno il disagio esistente tra l’immagine luccicante delle festività e il sentire delle persone. Ed io, che nel mio essere non credente mi interrogo, cerco di trovare una via che non getti il positivo di un malessere, e oscillo tra il rifiuto del troppo che ci attornia e che sconfigge l’uomo e la ricerca di significati nei momenti che certamente non ripetono l’infanzia o il momento del meraviglioso che l’accompagna, ma piuttosto cercano l’amore che esiste attorno. Un ripasso di ciò che conta davvero, oltre le modalità, oltre il il vincolo delle giornate, ascoltando gli affetti e le domande che arrivano. Bisogni forse troppo simili per non dire che questo senso del religioso sconfina troppo spesso nel bisogno d’amore e che forse andrebbe investigato in questo senso.
p.s. come si legge, non ho soluzioni, e la riflessione continuerà, ben sapendo che non si esaurirà con il periodo: questo è uno dei temi del ben vivere, almeno per me.

Non credo che ci sia bisogno di profeti, di vicari, di croci e di mezzelune… il divino che è in noi, è una scintilla che ci fa consapevoli di essere, che ci rende umani, che ci solleva dalla pura istintualità e determina lo sviluppo della coscienza e del senso dell’io e di tutte le forme espressive di cui siamo capaci, fino alle vette eccelse dell’arte, ma è anche ciò che ci rende estremamente fragili e fallibili.
Senza l’amore, la fraternità, la compassione per ogni essere umano, la coscienza della giustizia e della condivisione dei beni non esiste religione di alcun genere. Le formalità e le esteriorità farisaiche non hanno mai aiutato o salvato nessuno. Nemmeno a Natale…
Anche la “cultura” nel senso alto del termine può contrapporsi alla deriva verso cui ci stiamo dirigendo; è questo forse il “dio” a cui appellarsi e per cui vale la pena continuare a predicare, nella speranza che il seme da qualche parte attecchisca. Nell’universo noto e ignoto, mistero a noi stessi, esistiamo e tanto basta. La scelta è soltanto dirigersi verso l’Armonia, o allontanarsene.
Per avvicinarci sempre più alla Bellezza.
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Ma che strana sintonia,volevo postare io questo film di Kieslowski,per un post,ma…tu sei stato più svelto di me.Mannaggia a li pescetti.
Auguri tanti,comunque.Tutto passa! Bianca 2007
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Reblogged this on i cittadini prima di tutto.
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La forzatura mi pare che entri nelle nostre case, una cosa ipomaniacale in cui ciascuno sta male, in cui nessuno riesce ad uscire, a fermarsi. Fermarsi, appunto.
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Sono anche io dell’idea che alla base della fede e del bisogno di spiritualità ci sia la sostanza che è sistemata sul fondo del proprio bisogno di amore e di ricerca. Non contano la risposta e la forma, ma il non precludersi niente. Gli occhi del bimbo del video sono una domanda che trafigge, non trovo giusto tagliare via la possibilità di cambiare idea e posizione, ancor peggio verso un bambino cui non si dovrebbe dare una spiegazione così conclusiva e definitiva.
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Mi hai riportato alla memoria il tempo della scoperta dei film di Kieslowski. Ero affamata della dolorosa magia che riuscivano a trasmettermi.
Per quanto mi è possbile cerco di vivere le feste nel modo che mi è più vicino. Nessuna regola, solo pensiero che va verso gli altri.
Un’attenzione in più a ciò che non vedo ma sento e quindi parte di me.
Buona giornata Willy
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@Andanteandante: mi convince l’idea che ci sia qualcosa in noi che ci libera dall’istintualita’ in particolare oggi dove pare che l’immediata soddisfazione della pulsione coincida con la libertà e realizzazione dell’individuo. Credo che nella ricerca di ciò che non si capisce o che ci sorprende dopo l’età del meraviglioso ci sia quella del completarsi, del costruirsi, opera che non finisce mai e che forse proprio per il suo mistero contiene quella scintilla di divino, di superiore come possibilità a cui tendere.
@ invecedistelle: sono convinto che il bisogno d’amore e l’insicurezza che si porta appresso contenga questa richiesta, che a volte diventa urlo, verso l’esterno. Da soli non possiamo colmare l’amore che manca, e spesso ciò che ci viene offerto e’ insufficiente, oppure lo diventa, mentre il bisogno e l’insicurezza crescono. Il sacro e’ nel gesto gratuito, nel ricevere atteso, ma inatteso nella misura, tutto questo non si compra e il chiasso di questi giorni più che saziare il bisogno dimostra l’inadeguatezza, ma la speranza non muore e cerca le tracce di ciò che ci può far sentire non più soli.
@ esercizidipensiero: fermarsi per capire, uscire dal cerchio di gesso, cambiare, chiedere ciò che serve davvero. Appunto.
@ pass: dare, ascoltare ed anche accettare perché il dono mica ci lascia quieti e soddisfatti, ma ci mette in discussione, ci chiede di vivere meglio, oltre il timore di non essere amati. (Kieslowsky a me piace molto, c’è chi lo giudica un pretone per il suo essere comunque cattolico, a me è sempre sembrato un vicino di dubbi dall’altra parte)
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