Non so quanti operai frequentino la rete, abbiano un blog, raccontino le loro storie.
Ieri a Roma c’erano gli operai dell’Alcoa, sardi, arrabbiati, senza fiducia dopo promesse infinite. L’Alcoa è uno spaccato del paese, non tutto il paese, ma una parte importante. E’ quella parte di territorio avvelenato dove ci si attacca a un posto di lavoro che toglie la salute, ma non c’è altro e in questi posti si pensa che toccherà a qualcun’altro ammalarsi, forse, a qualcuno che non si conosce e che, comunque, la miseria è peggiore. Quel forse regge una vita, tante vite, e hanno ragione, non è compito degli operai risolvere i problemi economici, fare i piani industriali.
Stamattina dicevano, ma lo dicevano anche ieri e un anno fa, che manca un piano industriale per l’Italia. Strano che sia così per il secondo paese manifatturiero e industriale d’Europa, eppure se ci si pensa tanta insensatezza qualche ragione la deve pur avere. Non è questione d’intelligenza, ma d’interesse, a qualche potere interessa che un piano non ci sia. Quelli che urlavano ai comizi degli anni ’90, più mercato e meno stato, hanno poi vinto, e ora? Bisogna pur dirlo che se non li salva lo stato gli operai dell’Alcoa non li salva nessuno. E qui si apre un tema che l’economia capitalista non considera, come non considera il territorio, ovvero quanto vale il lavoro, quanto conta la società? Nessuno può essere obbligato a investire in perdita, ma perché l’energia elettrica costa così tanto in una regione, la Sardegna, che consuma un terzo di quanto produce?
L’assenza di obbiettivi, di impegni comuni è un aiuto alla delocalizzazione, al disimpegno. L’alluminio si fa in tutto il mondo, ma per farlo serve molta energia a buon mercato perché è un divoratore di energia e non farlo ci consegna nelle mani di chi poi farà il prezzo. Bisogna farlo in Italia e servono tecnologie avanzate perché oltre che energivoro, il processo inquina sia l’aria che il terreno. Non è difficile, ma per produrre in modo green bisogna investire, per abbassare i costi, bisogna investire, se il privato non investe chi dovrebbe farlo?
Il prezzo dei metalli lo fanno i paesi a basso costo del lavoro e dell’energia, questo è uno degli elementi che rendono meno equo il mondo e lo stesso vale per l’acciaio dell’Ilva, per le materie plastiche, per tutte le lavorazioni di base che originano materie prime. Ma qui mi fermo perché annoia l’economia delle chiusure, della disoccupazione. Molti di quelli che scrivono partono da altri presupposti, da altri bisogni. Forse un terreno comune per giovani, e meno giovani, è la precarietà, ma la precarietà di un operaio 50 enne è diversa, non meno dolorosa, di quella di un giovane, così neppure lo stesso linguaggio accomuna.
Eppure senza un paese che sia interconnesso, sociale ed organizzato, che produca merci, sia attrattivo per il turismo, che abbia una buona agricoltura, una burocrazia che faccia funzionare le cose e non le fermi, senza tutto questo non si uscirà da nessuna crisi, non ci sarà competizione vincente, si continuerà a barattare la salute con il lavoro.
E non basterà. Come non basta la rabbia, perché il male è l’impotenza, ecco bisogna uscire dall’impotenza, ribadire valori comuni, farli veri. Il lavoro senza malattia, è uno di questi. Forse il principale.
Reblogged this on i cittadini prima di tutto.
"Mi piace""Mi piace"
da qualche parte l’ho già anche scritto. io vivo e lavoro vicinissimo a mirafiori. corso tazzoli, che costeggia gl’ingressi alla fabbrica, era , nel controviale, un suk, in questa stagione : camion di pomodori da sugo arrivavano dal sud e quelli che smontavano alle 2 compravano le cassette per fare la passata ..poi c’era la stagione dei peperoni, delle angurie. nella carreggiata centrale c’era un inghorgo pazzesco di bus, macchine, vespe : smontava un turno e iniziava quello dalle 2 alle 10. poi alle 10 c’era la notte. nessuno sano di mente passava da corso tazzoli trale le 13.30 e le 14.30. era così. adesso c’è il deserto. nessun camion con i pomodori, nessun autobus, nessun ingorgo : corso tazzoli è un corso triste che costeggia un lunghissimo muro con cancelli serrati. mirafiori agonizza tra l’indifferenza generale, al massimo liquidata con …abbiamo già dato molti soldi agli agnelli. ma se non riparte l’industria qui non si ripartirà da nessun’altra parte.
"Mi piace""Mi piace"
Cara Minnie, proprio ieri pensavo alla Fiat, alle chiusure degli stabilimenti in Italia, al fatto che nel gruppo, se va bene, lavorano due settimane al mese, alle proposte di Monti che chiede produttività ai cassintegrati, al fatto che il piano industriale non è mai partito, all’interdizione che il gruppo ha nei confronti di un ingresso di un’azienda automobilistica su Termini Imerese. Ecc. ecc.
Bisogna pur dire che il grande capitalismo italiano se non viene protetto diventa infingardo, che il coraggio imprenditoriale è più una favola che una realtà. Poi ci sono gli operai, una variabile indipendente.
"Mi piace""Mi piace"
Il lavoro senza malattia E’ il principale. io non ho dubbi. Assurdo avere un lavoro che, nella consapevolezza, mi regala il cancro a cinquant’anni. Che scelta di vita può essere? Mio marito ha lavorato in Alcoa, non vedeva l’ora di uscirne per tutto lo schifo che vedeva intorno.
"Mi piace""Mi piace"
Hai ragione PeP, ricordo le visite all’Alumetal di porto Marghera, ciò che c’era dentro e intorno alla fabbrica negli anni in cui inquinare faceva parte del produrre. Quelle persone che ci lavoravano non sceglievano, speravano solo di non ammalarsi. Non era una scelta di vita, più di disperazione forse, e anche allora che capivo certamente meno, quello che vedevo mi pareva assurdo.
"Mi piace""Mi piace"