Percorro la città a passi lunghi e veloci, un’andatura da studente per raggiungere un tempo che non è il mio. Il tempo personale viaggia con me, mi accompagna, accelera o rallenta secondo segreti nostri, che ci borbottiamo reciprocamente. Sapere che ci sono molti tempi, che se possiede più d’uno, aiuta non poco a sistemarci nel mondo in cui si vive.
In Ucraina, in Moldova, in Russia, e in genere nei paesi dell’est, il tempo scimmiotta il correre dell’occidente. Ci sono spesso interlocutori con colori giusti nei vestiti e tagli sempre un po’ sbagliati , l’orologio troppo evidente, le ventiquattrottore che andavano di moda dieci anni fa con dentro tre fogli, un parlare urgente e serrato. Quando si discute, il tempo, e la sua urgenza, irrompono, diventano parte concreta nell’alzare il prezzo di qualunque cosa e non si capisce perché, visto che attorno c’è il deserto, ma non importa, se il tempo ha un valore dovrà essere pagato. Si tratta dell’uso appreso sui tempi d’occidente, appreso chissà dove, forse nei film, oppure nei libri o nelle rimasticature di chi c’è stato e che vengono proposte assieme all’inglese farcito di tecnicismi. Basta concludere e poi il tempo vero, riprenderà il suo corso. Mi ricordano, queste persone, i commessi viaggiatori d’un tempo, le riunioni dei dei venditori di enciclopedie, dove non occorreva conoscere ciò che contenevano i libri, bastava usare il linguaggio giusto con le persone che dovevano comprare, la stessa aggressività e la stessa tristezza mescolata alle barzellette.
Diverso è il tempo dell’Africa, di quella meno occidentale almeno. Qui gli avverbi cambiano significato: adesso può essere tra un’ora, un giorno, un mese, di sicuro non è tra un minuto. Presto ha lo stesso tempo e significato, in realtà vuol dire che accadrà quando si può. Non credo dipenda dalla religione musulmana, forse neppure dal clima, è proprio una diversa concezione del tempo. Il bidello della scuola dell’Asmara, quando gli chiedevo quando m’avrebbe portato i soldi cambiati, mi diceva: dopo. E se io gli chiedevo: dopo, quando? Lui rispondeva stizzito: dopo, più tardi, presto. Ecco che torna presto, come tornava in Senegal: quando arriviamo che siamo stanchi? Presto. Ma alle sei ci siamo? Probabilmente. E arrivavamo alle nove. Basta sapere come funzionano i rapporti tra parole e tempo, adattarsi al tempo del luogo. Poi subentra l’impressione che tutto accada quando è ora, che solo il muezzin abbia un orario vero, che il resto segua una sequenza in cui ciascuna cosa matura e succede quando può. Succede è conseguenza di qualcos’altro, perché affrettarlo? Quello che ad un osservatore disattento potrebbe sembrare imprecisione, scarsa valutazione, in realtà è rispetto per il flusso delle cose: bisogna salire sul tempo comune, lasciarsi trasportare, non guidare il convoglio, lasciare che i fatti si incontrino con noi. Questo tempo accelera e rallenta, ma non dipende da noi, è nell’aria spessa di calore, nelle buche della strada, nei problemi risolti momento per momento. Si direbbe provvisoriamente, qui, nel tempo d’occidente, ma in realtà è il modo, un modo alternativo per risolvere le cose. Diverso e reale, il cui effetto è principalmente economico, impedisce il controllo delle prestazioni secondo i nostri parametri di guadagno, si negozia volta per volta, dal taxi all’albergo, e anche il signore della foto, bisogna svegliarlo se si vuole comprare, ma è davvero un problema quando si sa che funziona così ?

il tempo , una realtà astratta ,ogni cultura ne ha una sensazione diversa
famoso il “May be tomorrow Inshallah” ricorrente nelle regioni arabe
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Non è più un problema se hai imparato a lasciare a casa il TUO/NOSTRO senso del tempo. Se hai deciso di calpestare quella polvere devi abituarti al ritmo di quella realtà, non c’è scampo.
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per predisposizione mi adatto molto, il mio tempo interiore è pigro ed egocentrico, ma anche curioso oltremodo, dei tempi che si inseriscono in altre vite. So quanto il tempo influenzi ciò che vedo, quello che viene costruito, come si legge il mondo dove sono. Ci sono città fatte di edifici forti e squadrati, hanno un tempo di conoscenze solide, pensieri poco mobili, mani robuste, ci sono città e villaggi così precari che la pioggia forte può scioglierli, ma non è un grande problema perché passa la tempesta, e il precario è il modo di vivere, tanto solido che pensano che ciò che si perde è meno di quello che si ha. Il tempo comune è lo spirito di un luogo e del popolo che lo abita, se non mi adattassi meglio andare in un villaggio Mediterranee e godere solo del sole e dell’aria, ma essere sempre a casa. Mi adatto con piacere a tutto quello che non mi fa male.
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Non hai contemplato il tempo latinoamericano. Per un’ ” horita” potresti anche aspettare un intero pomeriggio!
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conosco, un poco, il tempo argentino, ne parlerò a parte. In compenso, in sud america, attendendo, ho bevuto quantità inenarrabili di caffé, tanto che ero stupito che l’attesa fosse mai nervosa 🙂
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già, io ho provato a lungo a cercare in africa una parola che corrispondesse al nostro “ritardo” e non l’ho trovata. ricordo lunghe attese piene di bile e di inshallah. il tempo è niente più e niente meno di quello che scorre, tentare di controllarlo è inutile, solo dio può farlo. lo ammetto, io non mi sono mai abituata…
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