il peso

Da qualche parte, a casa di mia madre, dovrebbe esserci una valigia che ricordo da sempre. Fatta di un materiale di un bel colore biondo, rigida, con le chiusure a scatto d’altri tempi, quella valigia aveva seguito mio padre e mia madre, sin dal loro viaggio di nozze di guerra. E la ricordo, pesantissima, da bambino, che d’estate si riempiva di spaghetti, “subioti” e altro, per le nostre lunghissime vacanze al mare, dove non c’era la varietà di cibo della città. C’era una gara, con mio fratello, per portarla su e giù da vaporetti, filovie, treni, poi sarebbe tornata leggera, come i nostri occhi, che si sentivano straniati guardando la casa, le scale, le cose mie e nostre, dopo tanto tempo d’assenza.

Ecco, quella nozione antica di peso, non la trovo più, le valigie hanno le ruote, i portabagagli sono diventati rari nelle  stazioni, negli alberghi il trasporto in camera, spesso, e’ su richiesta. Un campione di platino iridio giace a Sevrès, ma per chi sarà quella sensazione tangibile da palmo della mano? Sono i nuovi abitanti del mondo a circolare con enormi valigie e bagagli. Mani, muscoli, spalle, collo, testa, equilibrio, tutto connesso al quotidiano, ma ancor più alla nozione del vivere. Una nozione che sfugge ormai in occidente, nella civiltà dei colletti bianchi. Mi sono chiesto, vedendo le montagne di bagagli che seguono uomini e donne vicino a corriere, treni, aerei, da dove venissero quelle enormi valigie, quei borsoni a misura d’uomo, nel senso che possono tranquillamente contenere un uomo. La risposta, dalla Cina, e’ parte della domanda, perche questo significa che c’e un mercato compreso da qualcuno, che giustifica una produzione di massa, che esiste altrove una percezione di una realta’ del mondo fatta di grandi numeri rimossi dalla nostra necessita’. E quindi esperienza del reale, che vediamo e non capiamo perche’ la cosa non ci appartiene piu’. In Africa, in Asia, ovunque, ci sono file di persone in cammino, cumuli di fagotti, di scatole, valigie più o meno sfondate, una sensazione del peso che ci e’ sfuggita. Ci siamo gradatamente liberati dal peso per liberarci dalla fatica, adesso e’ la borsa della spesa a dare la misura, e tende a pesare di più, come sempre accade nei periodi crisi: le cose leggere costano di più, mentre il pane, la pasta riempiono e saziano. Gli anziani lo sentono di più per i limiti fisici e per il progressivo impoverimento. E il senso del peso indica la relazione tra popoli ed economia. In questo caso, riflettere sulla fatica si connette alla percezione del mondo, un rendersi conto di dove siamo e come stiamo mutando, noi, qui ed ora. Quasi un tracciare il limite del nostro recinto, culturale, economico, fisico che, nella liberazione della fatica ha trovato la propria ragion d’essere, ma non riflette e perde senso se non capisce che precarietà e peso sono condizioni del vivere e che lì c’è una delle contraddizioni dell’economia eguale.

4 pensieri su “il peso

  1. Il peso della fatica fisica nel quotidiano. A volte penso a come sarebbe diversa la mia vita senza la lavatrice, ad esempio. Mi succede di distogliere veloce il pensiero per il troppo peso che mi suscita!
    Ciao Willy

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  2. Ricordo quelle valigie, e ce n’è una uguale a casa della mia, di mamma.
    Io però ho sempre viaggiato (e continuo a farlo, spesso anche per lavoro) con lo zaino.
    Un modo che ti dà la percezione, il contatto fisico, di ciò che veramente reputi indispensabile. E che, una volta selezionato, faticosamente scremato del sovrappiù, si poggia sulle spalle e diventa un pezzo di te, pronto a salire scale mobili, scendere marciapiedi, salire sugli autobus senza mai dare l’impressione di un’appendice.

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  3. da molto uso zaino e valigia. La seconda serve per il campo base e il primo per essere libero. Se cercassimo nei ricordi dei più o meno coetanei chissà quante valigie emergerebbero 🙂

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