d come Domodossola

Ci si capisce per gran parte, poi funziona il presumere. Si dovrebbe chiamare presunzione, invece si dice intuito. Ma l’intuito dovrebbe funzionare prima che le cose accadano, mentre si suppone sovrapponendo pezzi di sé su altri, dopo. Nel nostro “intuito” ci sono le nostre paure e le deviazioni rispetto allo star bene presunto (anch’esso), non una norma che non esiste. Ma se siamo singolari, unici, dovremmo essere eternamente stupiti dalla differenza, dal non ripetersi di noi in altri. Invece diciamo una cosa e ne pensiamo, più o meno consciamente, un’altra.

Dovrebbe esistere una “stolidità” intelligente, una propensione a capire in ritardo, che emerga come qualità, in questo mondo ben più sicuro e sentimentale (fondato sui sentimenti e meno sul sentire), di quello in cui la presunzione era necessaria alla sopravvivenza dell’individuo e del genere.

Se già tra persone potenzialmente vicine, od affini, non ci si capisce davvero, cosa può accadere tra gruppi potenzialmente concorrenti? Accade che la genericità che applichiamo per comodità di pensiero , si insinua e condiziona nel pensare vero. Così si dicono nel piccolo quotidiano, parole terribili come: voi uomini. Oppure:sei come tutti gli altri. E così via, coniugando al maschile o al femminile, indifferentemente.

E d’altro canto, per orgoglio, nasce la necessità di spiegare, anche mutando il vero nostro, approssimando per farsi sentire, intendere nella diversità. Come ce ne fosse bisogno. In realtà vorremmo dire: ma come non mi capisci? se non ci riesci, fidati, capirai, altrimenti lascia perdere. Ci siamo sbagliati.

Una mia amica quando, come succede spessissimo, non rispondevo ai suoi schemi, mi diceva: sei una patacca. Le prime volte mi incazzavo, poi ho imparato a riderci sopra, era una cosa allegra non rispondere a uno schema. Ma intanto, l’avevo derubricata dalla comunicazione importante. Perché poi è questo che si fa, si prova, si riprova ed infine si ridimensione. Sembrava, ma non era.

Ciascuno di noi, quando fornisce l’immagine di sé, attraverso il racconto di quello che sente, manda molte verità e non pochi desideri. Projetta quello che è e il cammino verso cui procede, dovrebbe essere preso così, capito anche quando non si capisce e scartato quando  davvero incompatibile. Scavare nelle parole è sempre un esercizio fallace e affascinante. Le espressioni fisiche sono più sincere, ma anch’esse equivoche perché spesso è il tempo a fregarci, ossia la nostra percezione di averne poco e quindi se le cose non si incontrano, si rinuncia con un giudizio. Di solito lapidario. In realtà di tempo, ne abbiamo tanto, e non occorre correre per vedere più panorama.

L’economia degli incontri ha un valore crescente, si accumula nella vita ed è la diversità ad essere interessante, formante. Invece sembra che l’omologazione, il comprensibile subito, anche nella diversità, sia la condizione dell’utilità dei rapporti, come si riducesse tutto alla diade amico/nemico.

Funziona ed è efficace il ragionamento binario, come un flow chart.

Peccato.  

2 pensieri su “d come Domodossola

  1. Gran festa quando per lampi ci si comprende. Ma restiamo monadi… Forse accettiamo gli altri quando accettiamo ciò. A presto, Es.
    Ps: quanti spunti profondi di riflessione ci regali! Grazie, Willyco.

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  2. In effetti, il punto centrale sta proprio in quella parola: “unicità”. La nostra unicità. Così preziosa, così sottovalutata dai più. E poi, che bella la scoperta dell’altro vissuta con ritmi umani, dettati da un tempo lento, che non è più riconosciuto compatibile dai runners moderni

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