Eravamo compagni non senza timore. Anche chi c’arrivava subito con gioia spensierata e guascona, chi incespicava sulla parola che rompeva passati familiari, chi, con naturalezza, riconosceva ch’eravamo tanti e dalla parte giusta. Poi, come ogni acquisizione d’identità collettiva, il cerchio d’uso della parola sostituiva il nome proprio. Ci si appellava compagno, compagna, riservando il nome all’interlocuzione diretta e non alla politica di gruppo. In vacanza, in osteria, nelle scorribande d’amici, ritornavano i nomi, perché la parola compagno era la vita impegnata e seria, il terreno su cui poggiare piedi e ideali.
Compagno e compagna, si diceva con tenerezza, con forza, con rabbia. Una parola che univa e divideva perché connotava un versante del mondo. Toglierla a qualcuno era l’ostracismo, il tradimento. Nella parola c’era l’onore e la fedeltà, l’appartenenza.
Compagni era un grido d’attacco ed una quiete da chitarra nella notte. Compagno, veniva da prima, era stato usato con gloria, aveva plasmato vite. Per noi, studenti, era il segno d’una aristocrazia d’idee e di vita fuse assieme che innanzi tutto apparteneva a chi lavorava, agli operai. Usarlo nei loro confronti, oltre l’età, era una concessione, un essere ammessi a qualcosa che partiva da loro.
Compagno se va, chiude un secolo e mezzo di storia, relega un’identità al passato, la lascia a chi c’ha creduto, a chi vuole che non sia cambiato il mondo. Da tempo, questa parola, era in difficoltà, da quando caduti muri e ideologie, sembrava fosse un arcaismo, un residuo del passato. Nella fretta del nuovo, del tempo che divora se stesso, s’è gettato non solo il bimbo e l’acqua sporca, ma anche il catino. Nel convergere poi, di centro e sinistra, è difficile usarla in partito, difficile nelle manifestazioni, difficile anche in fabbrica perché gli operai erano passati alla lega.
Eppure tutti c’abbiamo creduto, anche chi non era d’accordo, ma alla sua partenza non c’era nessuno. Era finita una stagione politica e di speranza, di questo qualcuno non se n’era accorto, e nessuno conosceva il nome di quella nuova.
E’ solo una parola, dicono, e vorrebbero sostituirla con amico, ma sarebbe demolire qualcos’altro, un sentimento che riguarda le persone, non le idee e la politica. Ne sanno qualcosa i democristiani d’un tempo, che si chiamavano amici, prima di macellarsi nei congressi e nelle correnti, e gli amici veri se li sceglievano altrove.
Meglio non avere nome e tenersi dentro ciò che si è. Ritorneremo ai signori e signore, agli uomini e donne detto enfaticamente, all’appellarsi vuoto di simboli e significati. Non ci si deve sentire per forza, qualcosa di diverso e forse neppure assieme ci si deve sentire. Oppure sarà necessaria la doppia tessera, quella ligth per la casa comune, quella hard per chi vuole cambiare davvero.
Questo dice la politica liquida: agitare bene prima dell’uso, bere e poi si metabolizza in fretta.
p.s. mi convinco che sarebbe andata comunque così, che non è stato l’ingresso dei figli della borghesia a mutare il senso della parola, e forse, neppure a stereotiparne l’uso. Che a metà degli anni ’80 già s’era consumata la fiamma in grado di mutare il mondo. Quel mondo, non questo, questo ha gli stessi problemi ed altre poche fiamme.
Ivan della Mea, interpretò in musica, quell’ultima stagione insieme ad altri, ritmando le manifestazioni e la protesta.
Compagno era colui con cui si divideva il cibo, la lotta, la prospettiva di futuro. Cosa posso dividere oggi, che non cambi presto con i leaders, che non ricada nel relativo che ha pervaso la politica, che non sia solo, una prospettiva di governo, ma una prospettiva di vita?
In quegli anni di cambiamento fu per me fondamentale, l’ultimo leader che seppe incarnare davvero la parola compagno: Enrico Berliguer. Di Lui conservo molto e condivido ancora moltissimo.
…E LA REALTA’ NON ERA SURREALE!
E le PIAZZE erano i nostri salotti.
Esi SOGNAVA insieme lo stesso sogno.Con tanti colori ma con il ROSSO che predominava pur mescolandosi ad altri colori.
E l’UOMO era al centro di tutto e NON giocava a nascondersi perchè l’entusiasmo era la sua FEDE.
Una Fede che spaccava le rocce solo per veder fiorire ciò che di più bello era uscito dal sudore (buono) degli uomini ma…
si MOLTIPLICARONO i funghi velenosi e fu morte o “bollino rosso” con tiket.
Anche a ME manca Enrico Berlinguer.
Buona giornata di caldo o di fresco.Perchè no? Il meteo non lo possiamo certo comandare noi! Questo è certezza e realtà.Bianca 2007
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WILLY,per un istante ho sognato che tu pronunciassi questo epitaffio davanti all’assemblea del Mov. Studentesco nel 1973 l’anno in cui io andai via. Il concetto e la malinconia severa che si respira dentro le tue parole mi hanno fatto bene: i cambiamenti non permettono di cristallizzare la nostra vita ma non devono farci dimenticare nulla! Dimenticare è un crimine volgare, aprire il cuore e la mente alla comprensione il solo mezzo per far crescere la fede. Dentro il signore ci sono molti compagni serissimi e li vedi, li percepisci anche dietro una giacca e cravatta. Molti di noi non moriranno con l’eskimo addosso ma con un grande desiderio nel cuore.
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“Dimenticare è un crimine volgare”
Sono così perfette e icastiche le tue parole, Enzo, che sole bastano per definire un legame alto tra passato e futuro. E’ tossico vivere in ciò che è stato, ma rimuoverlo significa amputare il futuro.
Compagno è un guscio vuoto? Non è un problema del contenitore, ma nostro. Meglio un buon ricordo ed un’attesa fidente che cambia, cambierà rispetto ad un rito senz’anima..
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chiudiamo un secolo e mezzo di storia
vivi, ma meno coscienti
vivi, ma nel debole ricordo del passato.
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Doveva succedere, товарищ Willy.
Lasciamo al passato il posto che merita.
E per quanto riguarda il futuro, per dirla con Giorgio:
“No, ora finalmente io non ho futuro. Ora io preferisco pensare che ciò che mi spinge fuori sia solo una conseguenza o meglio una forza che è alle mie spalle. Davanti c’è soltanto uno spazio vuoto. L’importante è guardarlo attentamente questo spazio vuoto, come se da un momento all’altro le cose potessero uscire dal silenzio e rivelarsi.”
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L’abitudine ad avere un progetto e’ stata un bel collante per il sociale e la sua evoluzione. L’attesa con il vuoto che si riempie forse e’ un’evoluzione del privato che era comunque politico. Vivere di personale e’ sempre un gran bel vivere. C’e un fascino in cio’ che finisce, adesso servirebbe l’entusiasmo per ciò che inizia.
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