Per tutta la vita duelliamo con la morte, ansando altrove perché nascondere le paure è fatica. Da bimbi non c’è misura dell’abisso, si vive nel tutto ineluttabile, ma c’è posto e limite alla disperazione. E’ appena dopo quell’età, che la morte si trasforma, diviene un mare carsico che entra sotto la roccia, assumendo altri nomi. A volte è solitudine, immagine del non essere in relazione a qualcosa, qualcuno, e l’essere soli non ha correttivi. Non è la solitudine affollata del bastarsi, ma l’assenza assoluta, la voragine del non amore.
In quei momenti basterebbe una persona amata al telefono per deviare un fiume di pensieri, quelli che il moto della mano scaccia, come animali inesistenti. Sono i ricordi, le discussioni che, per fortuna, infransero la cristalleria interiore, ora unite al sentimento immemore di sé.
Ferito, ri-marginato, ri-tagliato, senza chirurgia plastica e anestesia: tutto per non essere solo. Basta saperlo.
Oggi il discrimine è il silenzio conquistato, ma quello non pesa, non ha a che fare con l’imago della morte, anzi sostiene che la storia ha pagine da scrivere e penne bene intinte, che c’è solo un momento a cui dare ragion pratica, l’ attesa di un nonsissacché, che vive di suoi tempi.
Quiete alle 6 del pomeriggio, dove attendere è il contrario della solitudine.
🙂
della Grimaud ho letto l’autobiografia, interessante.
Per Cioran “solo con Bach si ha l’impressione che l’universo non sia un fallimento.”
Mi viene da pensare che il colore del mio Bach è rosso, che Grimaud mi piace perché vive con i lupi, che Gould non ha rivali sul pianoforte, che Cioran aveva come Gould, i lupi dentro
Ho letto con attenzione, e ho capito che pian piano mi sto dirigendo verso la solitudine affollata del bastarsi.
Ci si abitua, e alla fine non fa più male.
Che brava la Grimaud. 🙂