C’è calma d’acqua e vento

C’è calma d’acqua e vento. Riprenderanno nella notte a lavare e scuotere. Il tempo si sovrappone, il prima inghiotte il dopo e genera l’adesso, così le gocce hanno rigato vetri e intonaci, si sono raccolte in rigagnoli lunghi dai rumori quieti. Da qualche parte la fogna è traboccata e un segno di fango nero si contende la mezzaria  bianca della strada. A Venezia l’acqua era alta stamattina, con i bimbi che giocavano negli stivaletti colorati. Non si farà mai, l’abitudine alla trasgressione dell’acqua. Anche da adulti. Ascoltare Bob Marley è sguazzare nell’acqua dopo la pioggia –pensavo- Marley avvolge come l’acqua e la sua musica, nel buio dell’auto, è la mia pozzanghera  in cui ridere e per poco, perdersi – pensavo-.

La città stanotte, si chiude come un fiore che teme di sciuparsi anzitempo. Potessi anch’io chiudere le poche cose buone rimaste dentro – pensavo- e lavare i ricordi che salgono senza sirena d’avviso. Tu che ne sai delle mie pene? e di quelle che s’annidano in queste case percorse di pioggia? e parlavo con i luccichii che la fine della pioggia enfatizza e scompone in colori densi.

Perchè ci si fa male -pensavo- quando lo star bene è così chiaro e sotto gli occhi, ma non è dentro quella parte che ci ostiniamo a chiamare amore e che in realtà si divide tra cervello e nervo simpatico. E non possiamo identificarla così perchè c’è un primato dell’effetto rispetto alla causa, e non importa dove s’annida, ma ciò che fa alle nostre vite.

Queste trasversalità di pensiero, sono la mia benedizione -pensavo- tolgono enfasi e smussano punte. Fanno riemergere lo spirito vitale, il sorriso ironico che acquieta.

A volte penso a tutto questo lavoro di cellule, di ordini trasmessi attraverso scambi chimici ed elettrici, di mutazioni ubbidienti per una volontà disubbidiente, e al fatto che l’ordine regna comunque nel corpo. Anche nel dolore, regna l’ordine, anche nella felicità irrefrenabile, continua a regnare. Come se l’impalcatura delle emozioni fosse solida di equilibri forti e dinamici, ma sempre in discussione con essi. Come se si potesse discutere una montagna, mentre ciò che deperisce è il rifugio.

Così pensavo mentre mi dicevo che forse è perchè quel bene è così certo da non muovere alcun dubbio, che non muta l’insicurezza che portiamo appresso e che spiegarla a chi non la possiede è tempo perso.

E l’auto si faceva strada in percorsi senza senso e tempo, mentre dentro, combatteva la voglia di riaprire ferite mai del tutto aperte. C’è saggezza nell’aprir ferite –pensavo– e nel nettare lo sporco che vi spargiamo sopra. C’è coraggio nel rinchiuderle ed osservare poi le cicatrici.