pornografi pudichi

Gillo Dorfles è un grande, ma accanto all’ Horror pleni del suo ultimo libro, ha messo la pornografia del mostrarsi nei blog. Del parlar di sè. Come se le auto biografie, le pubblicazioni delle lettere tra amici, amanti, nemici, l’indagare dei detrattori e degli agiografi, non esistessero da quando esiste scrittura e ragione. 

Ma è poi vero che questo mostrarsi impudico sia realmente pornografia, come Dorfles ed altri pensano? Volendo tagliare le idee con l’accetta, una parte dell’umanità pensa che il rivelare poco di sè faccia parte della pudicizia, del valore che ha una persona e che solo a pochi viene mostrata. Questo accade per il corpo, con la riserva delle parti intime ad ambiti ben delimitati, ma ancor più per i pensieri, desideri, passioni, convinzioni che fanno parte della sfera interiore che differenzia. E’ una bellezza nascosta riservata a pochi, fidati ed amati, spesso si parla di dono, che non la sporcheranno e sapranno coglierne l’unicità.

A questa visione si contrappone l’altra parte dell’umanità, quella che si mette in piazza, sia con l’immagine , ma ancor più con il racconto intimo di sè. Nell’una e nell’altra c’è esibizionismo e non saprei dire se chi nasconde ciò che è prezioso, sia meno desideroso di essere visto, di chi mostra. Ma poichè è stato usato il termine pornografia, mi sono chiesto se davvero ciò che leggo e ciò che mostro sia tale. Anzitutto, viene detto ciò che si vuol dire, e naturalmente sapendo che sarà letto, ma la pudicizia di ciascuno vela, lascia intuire, dissimula, allude. Ci sono blog in cui tutto è esplicito e chi li legge ci va, per leggere esattamente ciò che è scritto. E spesso non c’è nulla di rivelato che non sia già letto, sentito, visto da altre parti. Noiosi e ripetitivi, insomma.

 Il livello di buona parte di ciò che leggo (ognuno si sceglie con chi vuol stare), a me sembra sia sia personale, ma rispettoso. Magari con qualche messaggio trasversale, però il tutto non supera il livello del parlar tra amici. Quello che forse è difficile da capire per chi è vissuto estraneo ad internet e allo scrivere di sè, è che questo mondo crea un livello di comunicazione amichevole ben diverso da quello fisico, ma con caratteristiche analoghe. E’ più un conversare che uno scrivere saggi, è un parlare di ciò che accade più che enunciare i fondamenti del proprio vivere. 

Nel mondo fisico, posso mostrare interamente il mio corpo in luoghi in cui ciò è possibile, non devo per forza legarlo al sesso, oppure all’esibizione. In un luogo nudista, molti estranei mi vedono ed io vedo loro, ma la cosa è fortemente depotenziata dal punto di vista sessuale, sono contento perchè il mio corpo e all’aria e al sole. Se per estensione penso alla rete come ad un luogo in cui sono visto e vedo, lo stesso ragionamento rende poco o nulla morboso il dire di sè. Ripeto che ciascuno mostra ciò che vuole e a volte neppure ciò che è vero. Ma se la pornografia si traduce nell’ esibizione dell’osceno, ovvero di ciò che offende il pudore, qual’è il pudore che viene violato nel dire di sè?

celibi adulteri

L’amore dopo l’amore, tra vette e consuetudine, con tradimenti annunciati e passioni trasposte. L’attenzione vaga e si porta su altri oggetti del desiderio: sono qui con te e penso ad altro. Mi prendi, ma non abbastanza perchè ci sia solo tu. Un rapporto a tre senza la fisicità contemporanea per rincorrere l’attimo e vivere senza appartenere.

Dal fondo occhieggia la paura del lasciarsi andare definitivamente: per un pò, per il sempre di oggi.

Diverse le donne, portatrici di passione.

Dicono.

Diversi gli uomini, adolescenti di ritorno.

Dicono.

Non è forse tutto più semplice ed i celibi adulteri oscillano tra la speranza che la giovinezza non finisca e la percezione che la sicurezza ha un costo?

La vita è nel rischio di perdere, comunque lo si valuti.

del parlare ad alta voce

Un tempo, chi parlava da solo per strada, era guardato con scuotere di capo. Non il mio. E ne ho conosciuti di quelli di cui si favoleggiava un amore sconcluso, una paura mai trascorsa, una solitudine non mitigata. In uno, in particolare, la parola non era buttata al vento, c’erano frasi logiche e allusive, parole ricche, mormorate tra il sè cosciente e l’altro sè vagante. Mi fermavo e sembrava ascoltare, rispondere, oltre il saluto. Ma i suoi occhi scappavano dalla costrizione che gli imponevo, finchè, mormorando qualcosa, se ne andava. Era stato un discreto musicista, poi qualcosa era andato storto. Amici da ragazzi, mi è tornato in mente, perchè anch’io mi dedico al soliloquio. Guardo dentro e fuori, mischio la curiosità del capire con la necessità del capirmi. Dove sto andando lo posso chiedere a me solo e la domanda, estesa ad altri, che leggo e vedo, è analoga, ma più lieve. Penso che a volte, ci si possa prendere per mano e che questa mano, anche se virtuale, non ci abbandoni nei momenti in cui si cerca. Non per sopravvivere, per accontentarsi, ma perchè il soliloquio si trasforma in dialogo. Le parole hanno chi le raccoglie, le storie scavano dentro quando si sente l’assonanza. Basta essere veri, lasciare che la forma non prevalga, che il dire smozzicato parli a chi ha voglia d’intendere. Leggo la mia storia e le mie fermate in attesa di nuovi treni, nelle frasi che si rincorrono su pagine diverse. A volte è un libro, un film,  spesso, di recente, è un post. Nulla è sovrapponibile, ma molto evoca e fa transitare emozioni. A molti sono vicino, sento comunicazione e gli occhi scivolano solo per antico pudore, badando più a condividere l’eco di una vibrazione piuttosto che sapere. Approfondire, ma senza chiedere. Perchè a tutti è successo di parlare con il noi di prima, di continuare il colloquio con chi è ben presente e per altri non c’è. Di guardare amori, solo per noi interrotti, al punto precedente la catastrofe, giusto il momento dove ancora tutto è possibile.  E non è forse successo di indagare nello specchio, senza allegrie immotivate, magari con la pietas rivolta al sè, di prendersi tra le mani perchè altre mani non erano vicine. Questo accanto alle corse e le risate, ai sorrisi complici e alle tre cose che non avremmo mai voluto fare, ma che abbiamo fatto. Tutto questo portiamo, zaino a volte leggero, a volte pesante, ma solo nostro. E questa è la nostra vita, con tutta la sua stranezza, allegra e singolare.

Sapere che nulla è scontato, neppure la tristezza, è invece, il senso del mio camminare. Non sono più capace di trovare i consensi facili, di ammiccare per una battuta in più. E’ benvenuto chi si ferma, prende ciò che crede e lascia ciò che ha da dare. Basta dare il giusto significato e importanza: nulla è definitivo, molto è solo vibrazione, anche se a volte, per miracolo, diventa sostanza, comunicazione profonda, vicinanza forte e piena. 

attesa

Aspettano tutti di essere amati, ascoltati, chiamati. Si esibiscono vite libere, dolori recenti e antichi. Il blog piange, sublima, consiglia, ma la richiesta è sempre la stessa: voglio essere amata/o per sempre, meglio senza impegno. Beh, anch’io.

omnia vulnera ultima necat

il tempo scorre, le passioni sfuocano mentre altre si sovrappongono. Proprio come le ferite del tempo. Non c’è una scala delle passioni, nè dei ricordi: resta ciò che conta. La sera è il momento giusto per fare il vuoto, poi il caos farà danzare il nuovo. L’importante è avere sorrisi per governarlo. 

cantante

Pavarotti non è stato solo un cantante e forse senza neppure volerlo, è diventato simbolo di un’ italia molto da vetrina. Le star nella lirica ci sono sempre state: quando si assiste ad un’opera, l’insieme canto, musica, parole, genera emozioni forti. Anche perchè si lavora su sentimenti e storie semplici, comprensibili. Il cantante, come l’attore, si trasfigura, è passione, storia, altro da sè e suscita identificazione e sentimenti. Quando tutto questo esce dai teatri, percorre la quinta strada, nel columbus day, su un cavallo bianco, percuote con il “vincerò” orecchie, indolenza e noia, magari con qualche brivido, non è più solo lirica. Diventa fenomeno sociale, identificazione in valori confusi e leggeri, ma veri e positivi. Non è l’identità dell’Italia che pensa, fa crescere e lavora in silenzio, ma dell’appariscenza è il lato migliore. Tra i divi fatti di pixel e Pavarotti, c’è molta distanza, in lui c’è arte e cuore, impegno e lavoro serio, qualità e voce vera. Anche molto denaro, storie da rotocalchi, ma perchè la vita dei divi è rotocalco indipendentemente dalla loro volontà. Ci ha rappresentato, molti non si sono riconosciuti, ma ci ha interpretato bene per le regole dei mondi che molti di noi non condividono. Ha cantato bene, ha sollevato grandi emozioni, è stato amato. Mi è spesso piaciuto quando cantava nelle opere, molto meno nei tre tenori, l’ho ascoltato, confrontato, apprezzato, criticato. I suoi limiti vocali, non mi sono pesati, anzi lo rendevano più umano. Non mi ha mai lasciato indifferente e non è poco e di questo ringrazio e rendo onore. E il fatto di voler essere ricordato come cantante lo assimilo a chi vuol essere ricordato per il suo lavoro, una cosa da persone serie.

silenzio

Mi sono seduto in terrazza, ho spento il cd, lasciando che la sera mi prendesse. Difficile far silenzio: il pensiero salta, rumoreggia e scivola fuori dai recinti. Allora ho aperto un buco che portava nel nulla e da questo sono scivolati pensieri, suoni, tensioni. Il nulla accetta tutto, non inghiotte, non si apre: è un foro senza linee di forza. Così l’equilibrio è arrivato, per approssimazioni successive, correndo su spirali come gorghi.  E anche il silenzio si è affacciato, mentre se andava il tempo.

Pensieri alla lantana

In terrazza a guardare il cielo, senza impegno. I pensieri scivolano sulla vita viaggiante e tutto sembra possibile, ma non è urgente. Ringrazio la lantana per i suoi fiori e per il fluido quieto e tenero che emana. Non c’è tempo per tutto, ma per tutto c’è un tempo. Adesso pensiamo a fiorire. 

sciantosi

Non è una malattia dell’anca, ma la categoria dei vipposi sovraesposti. E magari ci fermassimo alla rilevanza dell’organo dell’ industriale nudo, al fascino adiposo del politico, alla chirurgia emendante che rende velina una persona, agli incroci sessopallonari e canterini. No, signore e signori, svetta il corona,  pensatore limpido per verbo e acuto d’ingegno in tempo di debolezza etica e non da meno il meccanico gestore di locale sardomarinato, modesto nel nome ma non nelle cronache, sottotitolato alla pagina 777. Tutti sincretici maestri nel far reagire il coro: donne, politicanti, cantautori, spendaccioni fiscoesenti, il paese annoiato e vociante. Se non possiamo farli tacere almeno togliamoli il Vip: non sono importanti per noi questi sciantosi. Un tempo una sciantosa poteva rovinare un uomo, una famiglia, mai un paese. Ricondurli al cafè chantant è buonismo, ma rivaluta i nani e le ballerine che almeno stavano al loro posto. E’ una speranza, ma continuo a pensare che solo il ridicolo usato a larghe mani ci salverà.