Per trovare Floresti dovete andare a circa 140 km a nord ovest di Chisinau. Troverete 13000 abitanti, agricoltura e fiori, tre industrie: una per far succo di mele, l’altra di bottiglie di vetro, infine un biscottificio. Il vetro non odora, ma i biscotti e il succo di mela fanno sentire la loro presenza: si sniffa, passando dall’acidulo delle mele al caramellato dei biscotti. E’ come camminare in una cucina, con una mamma che prepara per il dì della festa. Ma non è una cucina calda con la stufa di pietra bianca, siamo fuori e c’è fango dappertutto: la neve si sta sciogliendo e le auto, le strade. i marciapiedi sono color nocciola. Mi dicono che sia il caolino a dare il colore e la consistenza melmosa, ma in realtà, è questione d’abitudine: non siamo più abituati al fango, agli schizzi sui calzoni. Floresti è stata parte di un latifondo immenso, ma allora era terra trattata distrattamente, censo. E qui risuonano le mie letture, Tolstoi, l’ ‘800 russo, il generale feudatario, le terre nere, i contadini servi della gleba. Del resto anche oggi, le case assomigliano ad isbe e sono rade, fuori dal centro.
Scendo dal pulmino e comincio a passeggiare sull’area in cui dovremmo fare il parco industriale. Sono colline molto dolci, arrivo al crinale e lo sguardo si perde tra onde di terra e betulle verso l’Ucraina. Solo 30 km al confine, ma è lo stesso paesaggio dall’una all’altra parte. In pochi anni tra queste colline è cambiato il mondo, la storia delle famiglie, i percorsi quotidiani, le città e le appartenenze. Tra frontiere, guerre, democrazia, divisioni, povertà e ricchezze assolute, le attese e la vita sono state fatte a pezzettini e ricomposte.
L’aria è limpida, il ghiaccio di giorno diventa tenero, emerge sterco dappertutto, è il pascolo, anche se un mucchio di stracci e bottiglie vuote di cognac di Transnistria e vodka fa pensare ad altri usi serali. Vorrei tempo per pensare mentre le scarpe affondano piano nel ghiaccio, c’è così tanto silenzio e verde che tutto prende l’andamento quieto delle colline. I miei compagni di viaggio strombettano in lontananza, non sono interessati, è mezzogiorno. Mentre torno camminando piano, capisco che se faremo quello che pensiamo, qui cambierà tutto, forse anche i pensieri delle persone, ma non necessariamente in peggio. Il Sindaco ci aspetta, regaliamo fango (?) a tutti i tappeti che troviamo, un volume e un dvd di un mondo lontano e vicino, che conoscono per i racconti delle “badanti”, dei manovali laureati: un quarto della popolazione è in Italia. Ci ripetiamo nei discorsi, speranze con accezioni diverse e obbiettivi comuni. Un mantra fatto di sviluppo, occupazione, successo d’impresa, cooperazione italo-moldava. Il nostro sviluppo non è il loro, noi esportiamo regole, criticità nuove, ma con 300 euro al mese, costo azienda per lavoratore, è evidente che le motivazioni non possono coincidere, chi verrà portato da noi, non penserà allo sviluppo locale, ma al prodotto e al profitto. Il sindaco ci porta a pranzo in un locale notturno, qui non c’è la prostituzione d’alto bordo di Chisinau, il mercato è locale. Nell’oscurità coppie e ragazze stanno su tavoli incongrui, tra biliardi spenti. E’ mezzogiorno, parlano tra loro, forse è solo una pausa verso il pomeriggio fatto di noia, attese. Scendiamo verso una stanza riservata, il night è qui, tra luci colorate e pozze di tenebra agli angoli. Si sentono voci, ma si vede poco, a parte il bancone. La stanzetta ha due foto incorniciate e sbiadite: una ragazza nuda su un’auto sportiva d’epoca (il massimo del possesso) e una ragazza, anch’essa nuda, ma col berretto di papà gelo, che augura buon anno (’98, ’99 ?). Tavolini di formica e tovagliette di plastica, l’allegria dissipa l’imbarazzo, forse il brodo caldo di gallina aiuta. La ragazza che serve in tavola avrà 16 anni. Chissà che pensa del suo futuro? Questi pensieri accompagneranno gran parte della mia giornata e i giorni seguenti. Ha i vestiti delle ragazze di campagna del nord est di 30 anni fa. Un maglione di lana fatto a mano, camicia e gonna di poco prezzo. E’ svelta, professionale, lega poco con il resto dell’arredo. Non lavora in fabbrica perchè c’è crisi, un tempo sarebbe stata a scuola. Qui le ragazze si sposano presto, pensano di essere vecchie a 25 anni, fanno figli a 18 e spesso a 26 sono divorziate. Nulla di strano, ma è tutto così fuori norma perchè mescola forma e sostanza, regole e cambiamento, che non riesco ad immaginare quali siano i desideri, le attese, i sogni. Esco alla luce del primo pomeriggio, i luoghi riprendono consistenza e prevalenza sulle persone. In fondo viviamo in ambienti chiusi, ci asseragliamo per tenere i pensieri su chi abbiamo vicino, fuori gli oggetti ridistribuiscono i piani visuali e i singoli, che non conosciamo, diventano massa, pensiero collettivo.
Il ritorno a Chisinau è nel crepuscolo, sta gelando l’asfalto e il fango cambia colore, diventa marrone scuro. Sul ciglio della strada uomini e donne. Attendono un mezzo che li riporti a casa, agitano le braccia verso ogni veicolo in arrivo, chiedendo un passaggio. Se va bene risparmieranno i soldi del mezzo pubblico. Così ogni sera, ogni mattina. Una coppia su un carro scoperto, trainato da un cavallo, guarda le auto e i camion. Vanno piano, hanno pastrani di pelliccia, arriveranno a notte. Cambia tutto, non ci badano. Questo mondo finirà prima di loro, ma allora saranno racconti di vecchi, storie senza realtà.