La complessità mi respinge. Spesso ho le idee spianate dall’ordine interiore, è così che m’ indico la strada, ma se non è complicato, non mi riesce bene. Credo si tratti dell’abitudine a ragionare su più piani e di considerare alternative. Oppure saranno tutti questi libri pieni di idee che ronzano. Ma se la semplicità sembra ad un passo, chiara come un navigatore appena tarato, mi pare riduttiva del mondo, così la devo smontare e rimontare finchè mi si adatta come una scarpa usata. Per questo, scartafascio portolani, cerco mappe rosicchiate, mentre basterebbe guardare l’atlante per esplorare il conosciuto. E che me ne faccio delle cose facili? Dev’essere nato così il rifiuto d’ appartenere, a persone, o a idee senza il vaglio dei principi e questo era troppo semplice da capire? Adesso che i principi sono pochi, mi sembrano buoni quelli che ancora riescono a sanguinare. L’ho dichiarato, detto preventivamente, ma non m’hanno creduto. Mi dicevano, quando ascoltavo, che m’innamoro delle idee che si sdraiano nel cervello e fanno ponte tra idee lontane e così mi complico la vita. Non capivano che non ci si innamora a comando, nè delle persone, nè delle idee, al massimo si finge una semplicità che non esiste. Per questo forse, m’è parso bello seguire la passione. Quella che di solito si confonde con l’innamoramento, ma è altra cosa ed ha un vantaggio rispetto a questo: si combina con il desiderio di esistere.
Adesso sono convinto che la semplicità è ad un passo: bisogna decorticare, lasciar leggere, intuire, agitare campanellini e qualcuno che solleverà il capo, pensando d’aver finalmente visto chiaro. Invece, semplicemente, avrà riconosciuto ciò che già sapeva.
Ecco, basta ascoltare e la semplicità è lasciarsi prendere dalla propria meraviglia.
p.s. il pezzo di Thomas Tallis è per otto cori e quaranta voci, e alla fine neppure pare complicato: suona bene.