alias

Ogni terza domenica del mese, è presente al mercato bric a brac in prato. Lo conoscono i commercianti di cartoline, di foto e di dischi. Gli mostrano gli ultimi ritrovamenti fotografici fatti per lui, ma è merce difficile, spesso testimonianza di disastri in corso.  Lui guarda, contratta, a volte acquista. Compra soprattutto foto di persone, ma anche cartoline e dischi, purchè della stessa epoca. Osserva con attenzione, a decifrare i volti nelle foto, i sorrisi, le mani posate. Ci deve essere compatibilità con gli anni dal ’60 all’80: la sua epoca giovane, noi ci conosciamo da allora. Sulle foto si è costruito passati dimostrabili e ne parla convinto, senza invadere troppo i discorsi. La casa si è piegata a raccogliere questi alias di vita: vetrinette, album di foto, librerie ricche di oggetti. Mi ha raccontato di quando eravamo ragazzi e ci siamo persi tornando al campeggio, delle ragazze che aveva baciato in quell’estate, di un temporale che ci ha inzuppato e allagato la tenda.

Non mi riconosce, ascolto, assento, sarebbe bello fosse vero.

filosofia

Al bakarà, in piazza dei Signori, si riunisce e discetta l’accademia pensionata, ma solo fino alle 11.30, pochi posti a sedere, meglio prenotare. Lettura ad alta voce dei giornali, sport, scienza e politica, fatti locali ed emozioni planetarie: intelligenza trasversale sciorinata all’inclita. Il mercato delle piazze pullula all’esterno, ma il problema vitale è arrivare a mezzogiorno, tornare a casa, mangiare e affrontare moglie e pomeriggio. Stamattina il tema era: cossa xea ‘sta filosofia? 

Caciari, no, nol xe filosofo

e Butilione xeo filofo, queo? un politico, un democristian, altrochè.

E Pera, cossa disito de Pera?

mah, i dixe che’l xe el filosofo de Berlusconi e che lo ciama anca de note.

Anca me mujere me ciama de note e la me dixe:” Piero vame tore un goto de acqua che gò sen ma gò cossì tanto sono” . Xea filofa anca me mujere alora?

Noo ciò, to mujere gà solo el culo pesante, invesse i dixe che cò la filosofia ‘e done xe affasinae, varda Caciari, ch’ el ghe nà sempre de nove.

Sarà par queo che Berlusconi ciama de note Pera.  El ghe dirà: Fammi Pera un discorso belo e filosoffico, che affassino la qui presente. Altro che ti e to mujere e el bicer de acqua.

Ma alora la filosofia serve par trombare

Si, e el viagra xe la pilola filosofale.

Vivere nella città che ha una delle più antiche università del mondo, vorrà pur dire qualcosa, no?

piccoli suicidi

Spariscono blog. A volte mutano pelle od interessi, a volte senza commiato. Come per gli amori disillusi, immagino venga coscientemente tagliato qualcosa di caro, per punire sè e gli altri. Ma anche per sfiducia, perchè l’orizzonte e le motivazioni alte si sono interrotte.

Suicidi reversibili. Attese interrotte. E dall’altra parte, ci si dispiace, per la voce amica che scompare inattesa. Piccoli dolori. E non è proprio tutto virtuale.

comincerà così

Comincerà così, con un piccolo incidente, in un posto più da risico che reale. Comincerà con uno scambio di colpi ed un bombardamento di reazione. E noi, per ora lontani, staremo a guardare, sperando che la macchia non dilaghi. Non ci chiederemo chi è morto e perchè, ma pregheremo il fato che non tocchi a noi. Comincerà così, ovunque ci sia una bomba da tirare per disperazione e un difensore della democrazia che pensa alla ricostruzione. E ancora noi spereremo che non la difenda troppo questa democrazia che uccide. Comincerà così, mentre ci stringiamo con i nostri piccoli grandi amori, pensando alle  povere cose e senza muoverci perchè tanto è inutile scappare. Comincerà così, facciamo quel che possiamo perchè non sia così.

potature

Stamattina ho potato tre piante di rose: in altri tempi ci siamo scambiati cure e bellezza. Adesso, per l’oidio oppure per più banali muffe, non stanno bene.

Troppo facili le similitudini con la vita, in questi pensieri mattutini.

Eppure mi son punto, quel tanto che basta da pagare lo scotto della poca attenzione a me.

Non voglio perderle queste piante, ecco la ragione dell’interesse sentimentale, anche se l’appartenenza reciproca si è affievolita.

Non si può tenere tutto: bell’assioma nella botanica dei sentimenti.

tigli

Dal bar Bologna, vicino al vicolo, si guarda la piazza, le due chiese, i pellegrini, sorpresi d’esser lì. Si beve bene al bar Bologna e si prende il sole con il tempo giusto. Chiacchere distratte, silenzi tra considerazioni che sembrano lontane. Tutto è lontano, oggi: la politica, la società, lo sport, come in una canzone di Jannacci che parla di te. parlando d’altro. I tigli la fanno da padroni nel piazzale, hanno lasciato cadere i fiori, la pioggia ha fatto il resto. Asfalto come ghiaccio e marciapiedi scivolosi, da stare a braccetto, stretti anche col caldo. Stamattina l’amore non distingue tra bisogno d’equilibrio e il bisogno di sentirsi amato: ci si tiene e basta, ma forse è sempre così.

Il profumo dell’aria, si mescola al soave fresco: domani sarà tutto pulito.

Anche dentro.

l’amore al tempo della destra

L’ho riletto sussurrando il suono, ma fate come credete. 

Girolamo Frescobaldi: toccata 5, secondo libro: ” non sanza fadiga si giunge alla fine” , ma per Lui ne valeva la pena, questa è solo fatica

 

Pensavo: è come vivere al tempo di guerra. Non nella guerra, al tempo di guerra. Pensavo. Ma che cos’è una guerra. Neppure io lo so bene. Pensavo. Sono nato dopo la guerra che però c’era nella mia vita di bambino. Pensavo. Ho giocato con la guerra: pareva tornasse presto e c’era paura. Pensavo. Ma che ne sanno quelli della guerra e dei padri, che raccontavano la sera in dialetto. Pensavo.

Mia nonna era dell’800, aveva vissuto due guerre, persi tanti Amori. Pensavo. Era vissuta in Svizzera sul lago e poi in Germania con l’impero, è con Lei che sono cresciuto. Pensavo. Con Lei, educata da persone nate nel lombardo-veneto, i cui padri era cittadini della Serenissima. Pensavo. Sono anch’io dell’800. Pensavo. E allora che cazzo ci faccio in quest’auto, di mattina, con i sogni, gli amori, il ’68 e quello che c’è stato dopo, pensavo. E le battaglie in piazza, il cambiamento, è tutto vivo e presente? Pensavo.

Sempre la stessa gente intorno. Pensavo. Non li capisco, hanno votato tutti per la lega e berlusca e mi chiedono di aumentargli lo stipendio, di avere prospettive. Pensavo. Questi vogliono soldi, non prospettive o regole. Pensavo. Sono già in guerra loro e non lo sanno, pensavo, sentono solo l’odore del sangue. Pensavo. 

Sono stanco di cibo e di pranzi fuori, tutto troppo. Pensavo. Anche oggi parleremo delle solite cose, di lavoro, donne, auto, fallimenti. Nulla di nuovo, solo noia. Pensavo.

Cosa mi serve per volare? Voglio volare, pensavo. Cosa mi serve per correre? Sono fermo. Siamo fermi. Pensavo. Siamo fermi e rispettosi e lo prendiamo in culo. Pensavo. Tutto questo è già successo. Ma era diverso. Pensavo. Perchè questa cosa mi dà fastidio? Pensavo.

Perchè non c’è speranza, perchè ho degli amori sconclusi, perchè il lavoro non mi interessa più. Pensavo. Ma non sto male. Pensavo. Com’è l’amore al tempo della destra? Pensavo. Uguale a prima, non cambia nulla. Pensavo. Le faccende mie non le ha mai risolte il governo. Pensavo.

Non è vero l’amore senza prospettiva, cambia. Pensavo. E’ come vivere al tempo di guerra senza guerra. Si consuma senza impegno, perchè il domani è incerto. Pensavo. Ricordi  la “Storia” della Morante e di come lei resta incinta del tedesco, senza parlare, nè godere. E’ così che accade, pensavo. 

Chiuso nella mia auto, ascolto Kleiber e lo amo, pensavo. Ma a chi la racconto l’emozione forte? Pensavo. E dove portare questa gioia che trabocca. Pensavo. Sono più solo, pensavo: non comunico entusiasmo ed il mondo perde colore. Pensavo. Stiamo tutti male e l’infelicità trabocca, esce da sotto la porta e siamo chiusi in bagno. Pensavo. Non chiama più nessuno, pensavo.

Sono dentro un fiume in cui bisogna nuotare e far fatica per restare allo stesso punto. Sarà per questo che il personale è diventato politico. Pensavo. Le mie storie: sono incasinate stamattina, proprio come ieri. Nò di più, ma fuori non pare, con uno sberleffo di insoddisfazione, penso di star bene. Pensavo. Non ho una prospettiva di uscirne e cerco di sopravvivere, pensavo. Guido la mia auto nel traffico: ascolto la radio, metto musica, penso ad altro e guido. Senza gioia nel guidare. Pensavo. Penso a far l’amore, ma questo è bello. Pensavo.

Non voglio far l’amore perchè non c’è altro di meglio. Pensavo. Ovvero, è il meglio a portata di mano. Pensavo. O forse fa parte del meglio. Pensavo. Ma la vita non è solo fottere. Pensavo. E’ anche amare, sorridere, correre senza motivo. Pensavo. Non voglio pensare all’utile, non nei sentimenti. Pensavo.

Sono quasi arrivato. Pensavo.

Dove sono arrivato? Pensavo.

obama

I pensieri di questa mattina mettono assieme la lettura di alcuni Vostri post , in particolare Emma ( http://milanovalencia.wordpress.com/) e l’articolo di Barbara Spinelli su La Stampa di oggi. (http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=4132&ID_sezione=&sezione=

Non c’è nesso apparente, se non nella consapevolezza del mio bisogno di uscire dal mondo ristretto e per me importante della mia giornata, fatto di sentimenti, sensazioni, dolori, aspirazioni e frustrazioni.

In sostanza la mia vita diventa prigione, se non collocandomi al di fuori, guardandomi, guardando.

Esemplifico estrapolando ciò che mi ha colpito:

Portami via da un cielo che non sa chi sono, da un colore indefinito che accoglie questo sole, da questa strada dove i rumori sembrano più gravi, dove il cuore batte senza che io lo senta, che a volte mi premo la mano sul petto per sentirlo.
Porta via queste labbra di sangue, questo freddo sulle dita, questa frenesia nell’arrivare.
Ché non si arriva da nessuna parte.
E nessuna parte ci sta aspettando. (Emma)

Qui si sta seppellendo il sogno inane dell’impero stile Bush con quello che l’ha accompagnato: l’insolenza violenta, l’incompetente e militante ignoranza, il messianesimo pseudoreligioso, la lotta al terrore vissuta come scontro, fallito, di civiltà.

D’un tratto le terze vie s’accartocciano come secche foglie, disperse da un soffio che annuncia ben altre mutazioni: mutazione del modo d’intendere la politica, la speranza, il domani.

Nella prefazione al suo primo libro, I Sogni di mio Padre, Obama constata: «Conosco, per averla vista, la disperazione disordinata degli impotenti: come essa storce le vite dei bambini nelle strade di Giacarta o Nairobi, allo stesso modo in cui storce quelle dei bambini a Sud di Chicago; come per tutti costoro sia stretto il sentiero tra umiliazione e furia scatenata; come sia facile scivolare nella violenza, nella disperazione. So che la risposta dei potenti a questo disordine – l’oscillare continuo fra ottusa acquiescenza e scriteriato, ripetuto uso della forza – è completamente inadeguata. So che l’indurirsi delle linee, la fuga nel fondamentalismo e nella tribù, minacciano noi tutti».(Barbara Spinelli).


L’ estraniazione che sento, spesso mi isola nell’incomprensione, fa nascere il bisogno che il dentro sia collegato con l’esterno, con una prospettiva, un progetto. Forse per questo ho fatto politica così a lungo: per il bisogno di mettere assieme i sentimenti e i valori personali con un futuro che contenesse anche la mia felicità.

Essere amato, compreso, amare e capire, vivere con le difficoltà, ma senza aggiungere alla mia vita, la tristezza di una società fatta di sopraffazione e ingiustizia senza speranza. Portare la gioia o il dolore personale in un contenitore di speranza, dove l’assoluto e il momento diventano relativi, essere parte di un flusso che, se non mi protegge, mi contiene, essere con gli altri e capire che sono parte della mia vita.

Quando fu ucciso Kennedy ero ragazzino, ma ne ricordo l’annuncio in classe e nel confuso sentire, fatto di giochi e di scuola, c’era la sensazione che un pezzo del mio futuro avesse meno speranza. E’ passata presto la tristezza, ma ancora oggi non riesco a disgiungere ciò che provo dal disagio della società in cui vivo.

Per questo sento e capisco ciò che dice Emma e sento la necessità che la casa in cui vivo,muti. Per sentire che il cuore batte e c’è un posto dove andare e stare bene, a volte. Solo stare bene.

dogmi e università

La presenza del papa alla inaugurazione dell’anno accademico della università della Sapienza a Roma, è una ulteriore confusione nella indispensabile, separazione tra stato e chiesa. Separazione davvero poco perseguita negli ultimi anni in Italia. C’è, infatti, una sorta di vassallaggio da parte di chi dovrebbe essere laico, in politica e nella società, una ricerca di consenso a priori con sottomissione annessa. Ma mentre per la gerarchia cattolica, è connaturato ritenersi depositari della verità e quindi sovraordinati a chiunque altro, questo non è vero nella laica società di eguali dove conta l’essere uomini per avere diritti, dove il pensiero o il credo non sono fonti di diseguaglianza. Non ho credo religioso, ma anche se l’ avessi, sarei ancora più convinto del principio basilare di laicità dello stato. Invece in Italia non è così, il mio essere laico, agnostico mi colloca in una sfera inferiore al sentire religioso. Non discuto la bontà dei casi di coscienza, nè politici, nè morali, sostengo solo che lo stato non vive di casi di coscienza ma di una legge comune che vincola (cioè mette assieme), tutti allo stesso modo. L’ingerenza del papa e dei vescovi in Italia, è grande e non è nel fatto che esprimano le loro opinioni, ma che esercitino una pressione continua, palese e surrettizia, perchè queste diventino legge per l’intero paese. E la classe politica piega la schiena pensando di portare a casa consensi.  In ambito scientifico la differenza è ancora più marcata: la religione cattolica oltre a dire di essere l’unica vera fede e quindi in sè stessa immodificabile, si esprime sui principi della morale e del vivere umano dogmaticamente ed esonda nella scienza. E’ lo stesso schema che ha mandato al rogo, per molto tempo, quelli che la pensavano diversamente o che usavano il dubbio, anzichè la fede, nell’interpretare il mondo. Per questo la presenza del papa all’inaugurazione della Sapienza è incongrua. Ininfluente dal punto di vista scientifico e inopportuna in una istituzione che persegue la scienza attraverso il contradditorio e l’analisi del reale. Diverso sarebbe se ciò avvenisse in una discussione tra sistemi confrontabili alla pari. La mia impressione è che, per diversi motivi, la visita all’università convenga al rettore, che può esibire una presenza illustre e al papa che può ribadire il diktat morale in una sede naturalmente antidogmatica. L’effetto mediatico è già enorme, il sentire laico viene ridotto al silenzio, prosegue la marcia verso uno stato confessionale. Siamo tutti più poveri.