volontà d’impotenza

La signora Libby Latrina, in una mail molto professional, mi propone l’Oxicodone a 191,70 $. Mi pare una proposta intrigante (che schifo di parola), l’oxicodone per un maschio attempato dev’essere il massimo, toglie ogni tipo di dolore, è un oppiaceo sintetico con un nome arrapante (userei priapico, ma chissà che si pensa) da esibire: sai, ho l’oxicodone, ne vuoi? Dà quel fascino dark da dipendenza alla dottor House. Forse fa pure claudicare. Mi piacerebbe andare in giro, pensando che ho un oxicodone adeguato allo standard americano e che la signora Libby è contenta di me e del mio oxicodone. La farmaceutica aiuta già con le parole e le assonanze, impone una visione guarita della vita e della sessualità adulta, di qua aiutina (voce del verbo aiutinare, se serve chiedere alla signora Daddario),  di là mette il dolore alla porta, rende consapevoli delle proprie prestazioni illimitate, della giovinezza che non finisce.

Già, ed invece io penso che il dolore abbia un senso, che si debba confinare quando non se ne può fare a meno, che la prestazione non si esaurisca in sé. Penso che molto si faccia senza una ragione forte, che il perché venga accantonato a favore dell’esistere (scópo dunque sono), che il significato si dissolva nella dimostrazione di potenza.  Non è questo il modello proposto per il successo? Il maschio dev’ essere adeguato alla funzione che aveva a 20 anni, così esaurisce il genere. Eppoi quanta intelligenza si risparmia in una dimostrazione di potenza, quante domande in meno sui rapporti, sui perché delle relazioni, sul comunicare tra persone. Fatta questa si passa alla prossima, con il mio oxicodone and friends, posso andare ovunque. La mia è, invece, volontà d’impotenza, di acquisizione dell’essere, oltre i limiti della chimica. Del provare senza cilicio, non per mortificare ma per capire me oltreché l’altro. Forse è segno di un’età avanzata pensare che altrimenti non m’interessa, che le domande che mi vengono fatte non sono prive di effetto profondo, che del piacere individuale, già Tommaso d’ Aquino aveva tracciato il limite, sostenendo che l’uomo/donna è autosufficiente a sé. A sé per l’appunto non all’essere davvero con altri.

P.s. La signora Libby Latrina potrebbe usufruire di un pratico servizio anagrafico in Italia che consente di modificare i nomi che possono arrecare nocumento all’immagine. Mi pare che quel Libby sia francamente eccessivo, un po’ osceno, puzza di rifatto e si presta a denigrare la qualità di quanto propone. Chissà quanti lazzi avrà dovuto sopportare la poveretta per quel nome così esplicito. Lo cambi, signora, quel Libby e si tenga la Latrina; quella serve sempre.

P.s.1 adesso che ho lanciato un messaggio subliminale di impotenza per scelta, mi sono giocato la carriera ? 🙂