baristi tristi

I baristi tristi ascoltano silenziosi dietro al banco, hanno il senso del tempo del tramezzino al pomeriggio inoltrato, conoscono i volti.

Li conoscono tutti, anche quelli che non hanno mai visto, i volti dei cappuccini con poca schiuma, con tanta schiuma, con latte tiepido, con deca, con caffè d’orzo (alla parola caffè, quando si parla d’orzo, un brivido li percorre nel simpatico), in tazza grande, col ginseng, ( in Africa si beve col ginger o al cardamomo, in sud america con il cacao, vuoi che gli racconti che nel caffè si mette ciò che viene dagli stessi posti dove cresce? non capirebbero, il ginseng lo mettano sul the, lo mettano). Solo al caffè doppio e al ristretto 32 gocce accennano il sorriso. Ma mai una barbagliata, un nero alla triestina, una cioccolata amara fatta espressa, al più l’americano. E l’espresso alla francese, nessuno che beve l’espresso alla francese o il café creme all’austriaca?

E le brioches? con crema, integrale (come il nudo rifatto esibito: senza fascino), alla marmellata, con mirtilli (che ci troveranno nei mirtilli, ‘sti cannibali, gli gnomi?), ai cereali, 4/5 cereali (voglio vedere se li contano), con chantilly, chantilly con frutti di bosco ( i funghi ci metterei, i funghi canditi), la sfoglia, la sfoglia con mandorle (eh lo so che ti piace, botta di vita, ma oggi allappa e lo vedrò dalla tua espressione, silenziosa più della bocca, ma sai l’umidità ammassa e il pasticcere assonnato fa il resto…), il ferro di cavallo, l’occhio di bue (come mi piaceva da piccolo, me lo comprava mia nonna, magari ho fatto il barista per questo…), la frolla, le brioches ripiene di ananas (una mattina mi ha detto: sa, fa dimagrire, l’ananas. Ma si puo essere piu imbecilli), il riso, il semolino, la mela al cartoccio e poi la brioche vuota (il niente finto ha sempre una grande audience, non ne avanza mai una, andrebbe bene per un santone indiano in vena di meditazione), i crapfen vuoti (???), pieni di marmellata o di crema, i mini. Le mini brioches vanno molto: mezzo peccato (mezza vita, ometti e omette con il mezzo che giustifica il fine).

La mattina alle sei e mezza sembra l’esercito cinese di terracotta, allineate in file ordinate le brioches attendono. Il barista ha un ordine, davanti le truppe leggere, dietro le creme, le marmellate, sul lato destro la cavalleria del riso, del semolino e l’artiglieria pesante dello strudel (roba tedesca, pesante e d’attacco come il krapfen), è bello riempire il bancone, guardare le file ordinate e croccanti, poi arriverà l’attacco e comincerà la decimazione, reparti interi si immoleranno in mandibole trancianti o sbocconcellanti. Da questa parte del banco si vede il rapporto con il cibo e la vita, i problemi, gli estri, l’umore, gli amori.  Si vede e si tace.

Poi passata l’ondata della furia, gli ultimi s’accontenteranno. E alla fine vince il banco perché gli ultimi si giocano ciò che avanza. Potevano venire prima, potevano.

E’ così fino a mezza mattina poi inizia il salato, il barista deve parlare poco, lo stretto necessario e solo con quelli che gl’assomigliano.  Non è un barbiere.

L’anno scorso ho visto Caos calmo, ho lo stesso rapporto del protagonista con i clienti: solo gli amici superano la barriera, il resto passa.