di tutte quelle note, una ancora risuona conficcata in una balla di fieno

C’è voluta costanza di vizi,

impazienza e alcool, e fumo e notti insonni 

a plasmare gole roche, a traviare voci.

Ora attempati e soddisfatti

son pronti ad allevare note

e musiche usate come asciugamani d’albergo.

Note perdio, stupite d’essere in alto

a grattare soffitti, muovere ragni e rimbalzare. Finché…

Ci hanno buttato fuori dai nostri cieli azzurrini

di fumo e  di angeli caduti in pozze di birra acidula.

E’ quartetto jazz stanotte

che continua sotto un cielo imberbe di stelle e nero,

così nero che risucchia l’anima.

Si sono  zittite le voci, la sfida ai vicini,

alla campagna, al fieno, ai grilli ed alle rane

tra scrosciare d’accendini e fiammelle e punti rossi,

tutti ora ammutoliti davanti al sax

che s’inerpica e non finisce,

neppure oltre gli alberi 

così impudichi di riflessi argentei, senza luna.

Riuscirà,

oddio, 

riuscirà davvero a scalare il cielo questo pezzo di carne e di metallo?

Che è astronave,

casa, luce, latte rancido e buio.

E tutto assieme alita vita, testa, sesso,

sempre più teso, è arco polito, iperbole che sale, sale, sale. Finché…

spezza una nota piana e precipita nel silenzio.

S’è lasciato andare. Sapendo.

L’ha raccolto un basso amorevole,

ma così amorevole

che è abbraccio e madre e carezza per un figlio sudato dopo il gioco.

Stremati abbiamo affondato la testa nell’erba,

e di tutte quelle note,

una, ancora risuona conficcata in una balla di fieno.