Con l’estate il baccalà veniva sostituito dalle verdure, dai formaggi, dal tonno e dalle sardine. La polenta, rigorosamente bianca e calda, mal si conciliava con le case prive di fresco. Però c’era un baccalà che si poteva consumare d’estate, una cosa strana da fare ed a cui partecipavo ammaliato dalla nonna. Ricordate Tom Sawyer quando deve dipingere la staccionata, ecco tanto quanto ero sfaticato per qualsiasi incombenza, così mi lasciavo abbindolare dal lavoro muscolare che serviva per mantecare il baccalà. Le modalità di preparazione preliminari erano le solite del baccalà in bianco: ammollo in acqua fredda, cambiata per un paio di giorni, battitura, disossatura (del baccalà le spine erano considerate ossi), divisione in pezzi medi e poi si lessava con appena un poco di sedano, sale ed un idea di cipolla. Ci si poteva fermare a questo punto, condendo con olio, prezzemolo e consumando freddo. Invece la nonna diceva ” fazemo el bacalà mantecato “ e cominciava la cerimonia: i pezzi di baccalà erano messi tra due piatti, combacianti, con un filo d’olio e si cominciava a sbattere agitandoli con due mani, come con le maracas. Tutto semplice: 5 minuti di sbattitura, filo d’olio e poi di nuovo, così per oltre un’ora. Finchè stremati noi e le fibre del baccalà si compiva il miracolo della trasformazione in un’ amalgama candida, una crema che poi sarebbe stata consumata con polenta abbrustolita.
Adesso lo fanno con il frullatore, ci mettono il latte, lo spalmano sui crostini e i ragazzi che se lo vedono servire assieme al vino bianco freddo o lo spritz, come appetizer, neppure sanno che pesce era.
Merluzzo dei mari del nord, essiccato al vento artico, ecco cos’era.
Ma forse fa parte del tempo sentirsi un po’ essiccati, perchè i liquidi se ne sono andati e non si capisce più chi era il pesce.