pasquetta

Ier sera, dopo il mare, percorrevo una riva di laguna, poi un ponte che, con sublime fantasia, hanno chiamato: dell’unione. Come se i ponti servissero a qualcos’altro. Poi di nuovo rive e calli, che si aprivano sui canali. Il sole tramontava tra i colli, come suole fare, con sublime indifferenza ai nostri commenti sui riflessi sull’acqua. Intorno c’era profumo di fritto. Al mare si cena presto, rumore di stoviglie dalle case nelle calli strette, richiami nel dialetto, così comprensibile e diverso dal mio, uscivano dalle finestre. Era cantilena dei molti bambini e molti anziani che tornano e giocavano tra loro nel parlare fitto, e si vedeva.

Chissà dove sono i fabbricanti di bambini, a quest’ora mancano le coppie sposate.

Sul corso, giovani con i capelli tirati di gel, ad affollare bar, i loro padri andavano per mare, a pesca o con i mercantili, e si riempivano di vino rosso e bianco, di carte e di fumo, quand’erano a casa. E’ rimasto solo il fumo, ma leggero se non c’è voglia di strafare e l’alcool, per dare coraggio, si trova nello spritz.

Pasquetta si chiudeva tra folate di vento gelido, funghi a gas per riscaldare i tavolini all’aperto, sfornate di appetizer. Vicino al municipio odore di vaniglia e crema fritta. Ciascuno trascinava un suo pensiero al passato (mi pareva), mentre il tempo volava verso un’altra estate. Al mare le estati s’aprono e chiudono come gli ombrelloni a sera: prima c’era un amore spampanato, l’auto vecchia e già venduta, il lavoro adesso precario, l’inverno pazzo e il sole che la settimana scorsa illudeva.

Vengono le vertigini se non si picchettano gli anni.

Ma qui per non piangere, le cipolle si fanno al forno.