Anziché cercare, come viene fatto dopo i delitti efferati, le ragioni della violenza, non sarebbe meglio cercare i motivi della bontà? Anche evidenziare la sola convenienza della bene basterebbe.
Il male assoluto, e banale ( ma oggi la parola di Hannah Arendt è abusata e privata della sua intuizione terribile) del nazismo, mi è pian piano emersa, oltre le foto dei campi di sterminio, oltre la narrazione, proprio nella considerazione che gli ebrei, hanno per chi si è speso, durante l’olocausto, per salvare qualcuno di loro. Giusti sono anche quelli di cui, magari sottovoce, si sa, o sospetta la convenienza, ovvero che salvassero per denaro. Come dire che si può disgiungere il bene dalla generosità. Non sono la stessa cosa, ma il bene, comunque arrivi, vale moltissimo per tenere insieme un branco di animali ed impedirgli di eccedere. Forse per questo si può disgiungere, nell’agire attuale di chi è figlio della sofferenza, il ricordo dell’ingiustizia assoluta del male dall’ingiustizia relativa del giorno, motivandola nell’autodifesa, oppure, in peggio, con motivazioni di diritto. E considerarla lecita e non comparabile.
Per questo ritengo che cercare le radici del buono, ovvero di quello che ci impedisce di nuocere e motiva il fare del bene, dovrebbe essere una ricerca primaria delle scienze (?) umane. Superare la liquidità del sociale per rapprendere il bene.
Non mi piace la critica del relativo, puzza troppo di sacrestia per frequentare l’assoluto, e la radice del bene-comunque, andrebbe proposta, incentivata, facilitata nella crescita. Dirlo ora, dopo aver ascoltato la politica dare esibizione di caricature di umanità, di stile e di idee sguaiate, magari è fuori luogo, ma pensare sempre male dell’altro, evidenziarne i caratteri negativi presunti per occultare la propria povertà, demonizzare persone e proposte senza neppur sapere di cosa si parla, scava solchi di predisposizione al peggio. Bisognerebbe saperlo, essere coscienti che parlando al basso ventre, si disattiva il cervello. Questo modo facile di essere assieme, separandoci subito per invidia e demonizzazione della diversità, è scivolare verso un lago di fango coscienti di non voler arrestare la caduta. Il buono dell’altro evidenzia la possibilità di invertire un percorso che sembra obbligato, di ritrovare i motivi per fare assieme. Ed allora molto di quello che ci serve, ha solo il colore della fatica e della condivisione.
p. s. e per non tranquillizzarvi troppo sulla mia demenza senile: