Instancabili le rose rifioriscono, nel giardino abbandonato,
spargono petali,
sull’erba che si regola da sé nel crescere,
e sempre in alto cercano, gli alberi, la loro luce ed aria
senza incrociare i rami,
ché, crudeli di pudicizia, seccano le braccia che non amano,
e ancora i frutti s’appendono tra becchi d’uccello e foglie,
per poi rotolare sull’erba
a sciogliersi, nell’abbraccio con la terra:
tutto continua.
Eppure mancano i tuoi passi,
le mani a cogliere, e riordinare le confuse idee di piante e semi,
manca la tua voce che sussurrava ai fiori il crescere,
stanca di fatica, all’inizio della sera.
Le foglie faranno il loro lavoro, prive del tuo raccogliere,
e la luce, ancora, filtrerà tra gli alberi,
komorebi, pare si dica da qui lontano,
ma tu non lo sapevi, solo ti fermavi
e detergendo il sudore dal viso, assorta, sù guardavi,
nella bellezza della luce verde,
come a recitare in te, una preghiera.