Il 17 agosto era il suo compleanno. 17 anni li aveva lasciati nel secolo precedente e 17 nel nuovo. Era abituato a fare conti, confrontare numeri, vedere i risultati. I numeri erano curiosi a volte, ma non tradivano, si sommavano, sottraevano, dividevano, ma alla fine restava un numero che rappresentava qualcosa di univoco. Un dare e un avere. Lui pensava che doveva ancora avere molto. Aveva persone che amava, due figli, una moglie, un lavoro, una vita da vivere assieme, quindi i conti erano aperti e i numeri dovevano tornare.
Quella notte ci fu il trasferimento che era stato comunicato in giornata. Poche parole in italiano ripetute dagli ufficiali, verso i sotto ufficiali, e poi giù, fino alle orecchie dei soldati. E le sue. Tra soldati parlavano in dialetto, il battaglione era stato costituito all’interno di due province vicine. C’erano anche altri che venivano da regioni diverse e parlavano altri dialetti, ma alla fine ci si capiva. Lui era abituato a capire lingue e dialetti differenti, parlava anche la lingua di quelli dell’altra parte dei reticolati, ma non serviva, non c’era molto da dirsi in prima linea, c’erano solo urli e sfottò. Ed erano meglio i secondi perché significavano quiete.
Venivano da un turno di riposo, dopo essere stati in prima linea dal 13 maggio al 23 luglio, sempre da quelle parti del Carso, ed erano stati dimezzati: 1806 uomini e 36 ufficiali morti. Poche centinaia di metri conquistati, erano passati da quota 224 a quota 247. Numeri che erano piccoli dossi e buche che lì si chiamano doline. Buche in cui si ammucchiavano vivi e morti, pietre e ordini, assalto e fortuna. Numeri. Si contavano muti, la sera, poi c’era la notte per pensare e la speranza che la sera dopo si potesse contare di nuovo.
Chissà a cosa pensava ricordando maggio, giugno e luglio. I visi si confondevano, le persone, i fatti, tutto si sovrapponeva nel rumore degli scoppi. La corsa dell’assalto, l’acquattarsi nella dolina: fare, sparare, correre e attendere la notte, non pensare, restare vivo.
Nei momenti di quiete ci si aggrappava a quelli certamente vivi, alla famiglia. Contava la famiglia e lui. Lui e la famiglia. Vivo.
Durante il riposo e le esercitazioni si formavano gruppi, assonanze sociali, quasi parentele, ma sapevano tutti che erano su un crinale, vivere era questione di attimi, dipendeva da una coincidenza con una pallottola o una scheggia, dalla caduta di quello a fianco, dal caso.
Fino ad agosto riposo, meno di un mese e poi il 17, il giorno del suo compleanno, di nuovo in linea, immersi nel caldo torrido del giorno, con la pietra che si arroventava e lì c’era solo pietra. I pochi alberi erano stati spazzati via dai bombardamenti preventivi, i cespugli bruciati dai lanciafiamme. Pietre a pezzi, sminuzzate, frammiste a metallo di scheggia, reticolati, doline e trincee, teli sbrindellati e la comunanza di essere accalcati gli uni sugli altri. In attesa.
Il tempo si comprimeva e dilatava, e nell’essere lì per giorni si caricava con la molla dell’attesa. Non passava mai ed era sempre corto, immediato.
La notte del 17 era fresca, come tutte le notti, si faceva sentire l’alito del vento del mare di Trieste che s’incanalava tra quelle valli strette, lambiva quei cumuli di pietre e di paura.
A luglio, dal colle di Sant’Elia, il mare si vedeva e sembrava così strano che laggiù ci fosse una vita normale, che le persone andassero al lavoro, la sera a casa, che dormissero in letti normali, facessero l’amore, bevessero birra fresca nelle osterie e a cena accarezzassero la testa dei figli chiedendogli com’era andata la giornata. Li, anche se non formalmente, c’era la pace.
Il Papa aveva parlato di inutile strage per tentare di fermare la guerra, non c’era riuscito anche se i re e gli imperatori erano tutti cristiani. Ma poi quelle parole così comprensibili e adatte ai tempi non erano esse stesse una contraddizione: quale strage può essere utile?
Lui non pensava tutte queste cose, la notte del 17 agosto, sentiva che andava in linea, compiva gli anni, e sperava che quella pace poco distante nelle retrovie avrebbe potuto raggiungerla. Contava i giorni in cui restare vivo. Iniziava quella notte l’11.a battaglia dell’Isonzo, un numero palindromo. E bisognava conquistare quota 219 poi quota 246, la dolina della bottiglia.
Ma tutte queste cose non gliele dicevano e quando la molla del tempo si scaricava, usavano parole semplici: baionetta in canna, tutti fuori, all’attacco. Qualcuno gridava Savoia, qualcun altro moriva subito, altri correvano e i feriti urlavano. Col cuore in gola, sparavano e correvano, vivi, finché durava.
Era la notte del 17 agosto, compiva 34 anni, si chiamava Antonio, aveva due figli piccoli e una moglie e li amava tutti.
Restò vivo e li pensò fino al 22 agosto, in quattro giorni morirono tra quota 219 e 246, 1594 soldati e 67 ufficiali. Numeri, ma Lui fu uno di questi e il suo luogo convenzionale di morte fu indicato in quella dolina della bottiglia che ora non c’è in nessuna carta geografica.
Le vite spezzate sono un ricordo senza nome, sui libri di storia solo i carnefici.
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quando si parla dei caduti emerge un numero non le vite che erano con ciascuno di loro
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Terribile ciò che scrivi, situazioni terribili che la guerra produce. Mi vengono mille pensieri, mille parole da dire, ma provo un sentimento di dolore per quell’Antonio morto, andando incontro ad una pallottola. Non so se Antonio era tuo padre o una persona che conoscevi la pena è uguale. Dolore…
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Antonio era mio nonno paterno e, con la sua morte, la famiglia ne fu squassata. Ciò per cui avevano lavorato, distrutto. Rimase il dolore e la difficoltà di costruire le vite che proseguivano. Mia nonna tenne assieme l’amore con pazienza, coraggio e tenerezza. Grazie Marina 🤗
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Ti muovi dentro queste righe come se fossi tu a contare, a misurare gli anni e le quote, a tenere insieme i numeri e la carne. E senti che i calcoli non bastano, che il dare e l’avere non si chiude mai: ti resta addosso l’eco di nomi che diventano cifre, la dolina che inghiotte, la pietra che brucia. Sei chiamato a guardare tuo nonno Antonio non come un numero ma come un volto che si spegne il giorno del suo compleanno, con la moglie e i figli nel cuore. E allora capisci che la sola eredità che puoi accogliere è questa: trasformare il conteggio dei morti in memoria viva, che ti interroga e ti chiede di non ridurre mai la vita a somma o sottrazione.
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È così Nadine, mi è rimasta la memoria e la testimonianza, i numeri non solo non bastano ma tolgono la percezione del mutamento, del lutto, delle vite rimaste che non hanno scordato. La memoria è continuata ed è rimasta viva.
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Una guerra assurda, come del resto tutte le guerre, combattuta per accaparrarsi pochi metri di terreno o qualche spezzone di roccia…
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Non esiste la conta per chi subisce una sorte tragica , né esiste la parola che sana
Io tuo narrare è nitido ed è coinvolgente, per me e un talento .
La Pace non ha quote , i bagliori che accendono la notte inghiottono la vita ed è morte ,chi resterà la vita subirà una frattura senza risoluzione e ne sarà testimone
La memoria piena nella vita del prima che pulsa e va laboriosa ,che sorride alla vita che scorre finché non arrivano i fuochi che bruciano, spazio e tempo del mezzo vivo , angosciante esserci e trepidante la tua partecipazione, vivi al fronte solidarietà ruolo irrinunciabili , è tuo dolore mai spento. Mi commuovo ogni volta che ti leggo
Ed è tuttora faticosa la lotta ,lungo e tenace il cammino, serenità chiede ed e orizzonte la Pace, vedo un arco che si tende quanto più può .
L’infanzia incontra il lutto tuo nonno Antonio il padre di tuo padre e mio nonno materno Giovanni Maria , né esistono gomme che cancellano lo sventramento . Respira mi ripeto a che l’aria sia ossigeno che entri percorra ed esca lentamente , ristoro e forza a che si rinasca ancora nella pace interiore aggiungo sorridi , ringrazio la vita .
Quell’ uomo malato nella mente e nel cuore , è il fautore, mai solo ,abita il divorare e impera senza vivere ,ignora la sua precarietà
Non avrà mai una casa né alcuno ad attenderlo ,una casa senza amore non è una casa ,senza amore non esiste l’ uomo né l’ animale .
La guerra è solo una conferma della feroce e spietata stupidità, una maledizione che ricadde e ricadrà su tutti anche se non la si vuole scorrono lacrime rosse come il sangue.
Ho divagato ché la vita va avanti sempre e comunque
Grazie di cuore, buona notte 🧚🏽♀️🤗
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