E’ un tema vecchio e sempre attuale: come raccontare l’orrore ai bambini?
Ciò che accadde, e in altri contesti accade ancora, può essere spiegato con esattezza, mostrato nelle fotografie, legato a una qualche esperienza sensibile che lo faccia diventare reale a un bambino ancora piccolo? Perché un rischio grande, è che la vicenda terribile della shoah diventi una favola, una cosa priva di realtà e così sia il contrario della memoria, perdendo la sua funzione di insegnamento e guida. Ma anche nel caso in cui tutto l’orrore diventi reale e i fatti sentiti come accaduti, quale può essere l’effetto di questo racconto?
Lo storico francese Georges Bensoussan qualche giorno fa affermava su ” la stampa ” che “non si può insegnare la shoah ai bambini, non si può mostrare loro Treblinka. Perché è una memoria troppo pesante, troppo dura da portare e finisce per colpevolizzarli”.
Non so se sia l’unica risposta, di certo è un pericolo reale e i bambini col senso di colpa hanno consuetudine, ma molti libri e film, riportano una risposta diversa alla domanda se insegnare o meno la shoah, e credo che ognuno dovrebbe pensarci e trovare la sua risposta; se questo è per lui un tema importante dell’insegnamento a vivere. Non si è sempre parlato molto di ciò che accadde durante e prima della guerra, gli anni immediatamente seguenti ai ’40 furono a scuola, parchi di notizie su quanto era avvenuto. Non ne sentii mai parlare alle elementari e così la shoah vera l’ho appresa dalle fotografie di un libro di Pietro Caleffi e Albe Steiner, Pensaci uomo, quando ero già grandino e comunque fu per mia scelta. In famiglia parlavano di questa tragedia, ma più attraverso la costernazione del fatto che molte persone conosciute non fossero tornate dai campi di sterminio, che per la sua dimensione immane di tragedia umana collettiva. E dei bambini dei campi si parlava comunque poco, come fossero stati una conseguenza agghiacciante, della decisione di uccidere tutti, non un orrore nell’orrore.
Certo che le parole che usiamo noi adulti, hanno un significato molto diverso per i bambini, anche le fotografie vengono vissute diversamente, quindi il processo del condividere non è facile, però si può, e si deve, affrontare, considerarlo come un’ insegnamento fondamentale sui pericoli che ci portiamo dietro e che non sono solo in una parte malata dell’intelligenza o un prodotto della pazzia di qualcuno, ma che possono sorgere da persone insospettabili, intelligenti, acculturate e diventare follia collettiva, non un raptus di pochi. Quindi è un pericolo da trasmettere e un tema, a mio avviso, da risolvere. Nei bambini bisognerebbe ricordarsi che il percorso con loro è apprendimento comune, e che vedere e sentire come la realtà si trasfigura in loro, riemergendo dalle loro parole è insegnamento per noi, per adeguarci e capire cosa significhi maneggiare la storia.
Mio figlio, vide da bambino a Praga i disegni dei bimbi di Terezin, non chiese troppe cose, ma gli fu risposto. Quei disegni erano terribili più per noi adulti che per un bambino. Aggiungemmo qualcosa, seguendo la curiosità. La mia idea, di allora e di adesso, è che bisogna rispondere alle domande dei bambini, in questo caso, come negli altri. E approfittare del molto che esiste per non dimenticare. Certo, bisogna che quanto accadde sia importante anche per noi, e non è così scontato, perché non poco di quanto si agita negativamente al mondo, è parte ancora del problema irrisolto dell’intolleranza e del rifiuto della diversità. Forse anche per questo è importante parlare della shoah ai bambini e assieme a questa di altre stragi che ci furono e continuano, perché se rifiuteranno l’intolleranza e il razzismo, il loro mondo sarà migliore del nostro.
p.s. aggiungo l’intervista di Bensoussan alla Stampa, è una riflessione che suscita domande, non solo per l’autorevolezza di chi studia da una vita la shoah, ma per la necessità che ognuno, sensibile al tema, dia una sua risposta:
Saturazione della memoria:
Alberto Mattioli – ” Non si può insegnare la Shoah ai bambini “
Georges Bensoussan, Storia della Shoah, ed. Giuntina
Storico e responsabile editoriale del Mémorial de la Shoah di Parigi, Georges Bensoussan è l’autore di una sintetica ma assai ben fatta Storia della Shoah che La Giuntina ha appena tradotto e pubblicato in Italia (pp. 168, € 12).
Professore, il 27 è la Giornata della Memoria.
«È importante celebrarla.
Ma bisogna avere ben chiaro che in realtà l’Unione Europea l’ha istituita per celebrare la rifondazione dell’Europa.
L’unità europea è stata costruita sull’antinazismo e il simbolo del nazismo, ciò che lo differenzia dall’altro grande totalitarismo, il comunismo, è appunto la Shoah.
È la Giornata della Memoria europea, non ebrea.
È l’Europa dei lumi contro la notte della ragione».
Sulla memoria, la Francia ha ancora del lavoro da fare?
«L’idea della complicità di Vichy, dunque dello Stato francese, è recente.
Nel ’73 fu uno storico americano, Robert Paxton, a pubblicare i primi studi sull’argomento.
Ormai la tradizionale visione binaria Resistenza-collaborazionismo non regge più. In mezzo c’è una vasta zona grigia.
All’inizio della persecuzione, la maggioranza dei francesi, e le élite in particolare, non protestarono affatto.
Anche se è difficile valutare l’evoluzione dell’opinione pubblica in un regime dittatoriale, la svolta avvenne nel 1942 quando iniziarono le rafles , le retate.
La caccia all’ebreo indignò molti francesi.
Ma, in generale, è sbagliato avere una visione monocolore.
La Francia non è stata solo Vichy e non è stata solo la Resistenza.
E per fortuna circa tre quarti degli ebrei francesi si sono salvati».
Perché?
«Intanto perché la Francia è grande e fatta anche di foreste e di montagne.
E poi non dimentichiamoci che la Francia del Sud, la cosiddetta zona libera, fu occupata solo per venti mesi.
Infine, parte di questa zona fu occupata dagli italiani.
I documenti tedeschi sono pieni di lamentele contro gli italiani che proteggono gli ebrei e addirittura li sottraggono alle retate della polizia francese».
Lei ha polemizzato con Nicolas Sarkozy che aveva proposto che ogni bimbo francese ricostruisse la storia di un bimbo ebreo deportato.
«Semplicemente, da storico ho fatto presente che l’idea era benintenzionata ma assurda.
Non si può insegnare la Shoah ai bambini, non si può mostrare loro Treblinka.
Perché è una memoria troppo pesante, troppo dura da portare e finisce per colpevolizzarli.
Si può, anzi si deve, insegnare loro cosa c’è intorno alla Shoah, cosa sono il razzismo o l’intolleranza.
Alle elementari puoi parlare di Anna Frank. Delle camere a gas, no».
Sulla memoria, c’è qualcosa che si potrebbe fare e non si fa?
«Forse avere ben presente che, dal punto di vista storico, la memoria è una trappola.
La memoria non è la storia, è una religione.
E non serve a ricordare, ma a dimenticare, perché è fatalmente selettiva.
Per questo lo storico è disincantato e deve esserlo.
Mi spiego con un esempio che non c’entra con la Shoah.
Nel 1985 furono ricordati con grande riprovazione i 300 anni della revoca dell’editto di Nantes, quello che aveva concesso agli ugonotti la libertà di culto.
Tre anni dopo, lessi il Code noir , cioè l’insieme delle leggi che regolavano la schiavitù nelle colonie francesi.
Bene.
Sa in che anno Luigi XIV l’aveva promulgato?
Nel 1685.
Solo che il suo terzo centenario non l’aveva ricordato nessuno».
Insomma, della Shoah si parla troppo?
«Se ne parla troppo perché se ne parla male.
Cioè se ne parla in maniera compassionevole per le vittime, mentre la Shoah è un’enorme questione politica e antropologica.
Politica, perché pone il problema di come un popolo civilizzato abbia scientemente deciso di eliminarne un altro.
Antropologica, perché rappresenta una cesura, una rottura nella civiltà occidentale.
Lo capirono per primi certi intellettuali cattolici del dopoguerra, come Maritain, Claudel o Julien Green.
Poi il tema è stato ripreso dagli Anni 70 con uno studio della Shoah che si è giovato di nuovi strumenti, per esempio la psicanalisi».
Ma a livello mediatico, lei dice, è troppo presente.
«C’è una saturazione della memoria. Il discorso sulla Shoah, sui giornali, nei film, in televisione, è talmente invadente e basato soltanto sul pathos da diventare banalizzante.
La nostra è una società compassionevole, dove lo status di vittima è quello più ambito.
Dunque ognuno vuole avere la sua Shoah.
E Auschwitz viene continuamente evocato per situazioni completamente diverse.
Fino al paradosso di paragonare sulla questione palestinese i nazisti di ieri agli israeliani di oggi, che è una bestialità».
Ultima domanda e anche personale. La Shoah non è un soggetto troppo duro per dedicarle la vita intera?
«È sicuramente un soggetto sconvolgente.
Ci si salva con un humour nero che per i non addetti ai lavori potrebbe risultare scandaloso, politicamente molto poco corretto.
È lo stesso che hanno i medici o chi è tutto il giorno e tutti i giorni alle prese con la sofferenza.
Però vivere quotidianamente a contatto con la Shoah ti rende anche molto acuto sulla realtà di oggi.
Ti si drizzano le antenne, stai più attento a quel che senti.
E capisci che le parole sono sempre la prima tappa della tragedia».
Alberto Mattioli
«Non si può insegnare la Shoah ai bambini »
l’intervista di Alberto Mattioli a Georges Bensoussan
La Stampa 22 gennaio 2013
Con mia madre,ex staffetta partigiana e compagna di un GAP,se ne parlava spesso e i miei figli hanno respirato quell’aria sin da piccoli. Una volta,il mio primogenito Gabriele,poteva avere 6 anni,nel giorno della shoah mi domandò perchè mai i tedeschi ce l’avessero tanto con gli ebrei da ammazzarli.Per la frazione di qualche secondo mi fermai a guardare quei suoi occhi azzurrissimi,limpidi e intelligenti,poi gli feci io qualche domanda. Io “Cosa provi quando vedi o t’imbatti in uno zingaro?” Lui “Ho un pò di paura” Io “Perchè?” Lui “Puzzano e poi sono (diversi ) da me”. Io” Ma li ammazzeresti per questo?” Lui “No,ma andrei dall’altra parte della strada” Poi ridendo e correndo ai suoi giochi,gridò “Però se l’incontrassi senza la puzza,forse,potremmo diventare anche amici” Da allora non mi fece più domande sulla Shoah. ma uomo,adulto com’è ora e un convinto deciso e t”ranquillo”antifascista. Mirka
Ho scoperto verso i 10-11 anni cosa era successo a riguardo solo quando mia madre mi ha regalato il Diario di Anna Frank.
Ed è stato uno choc.
Purtroppo nella mia carriera scolastica c’è un grande vuoto (sia alle elementari che alle medie e poi pure alle superiori), perchè non ho mai affrontato la storia che va dalla prima alla seconda guerra mondiale per ritardi sul programma o per mancanza di insegnanti. 😦
Ma per merito di mia madre, da allora in avanti, ho approfondito l’Olocausto per conto mio.
Ai miei figli, col supporto di mio marito (grande appassionato conoscitore di storia contemporanea) ho raccontato a loro richiesta ma per fortuna, a differenza mia, hanno approfondito molto a scuola.
Pertini diceva che “ricordare è un dovere e dimenticare è un delitto”, poichè i pericoli sono due: il riproporsi di questi eccidi e il negazionismo.
Quindi è indispensabile mantenere viva la memoria storica, la democrazia e il dialogo.
Ed è doveroso ricordare la Shoah oltre e non solo il 27 gennaio cogliendo l’occasione per non far cadere nell’oblio la memoria degli altri genocidi avvenuti nella storia e che hanno interessato le civiltà precolombiane, i nativi d’America, gli aborigeni, gli armeni, le vittime dei gulag staliniani, i desaparecidos argentini, la Bosnia, il Ruanda….
Buon dì della Memoria, Will 🙂
Mi scuso per essermi scordata dei Kulaki e della Cambogia di Pol Pot
ma sicuramente e purtroppo avrò dimenticato qualcun altro… 😦
di solito sono contrario alle giornate del ricordo, è come la carità per sgravarsi la coscienza. Questo è un giorno particolare che forse tende a sgravare la coscienza degli europei, perché ci fu chi perpetrò in Germania, in Italia, nei territori occupati e molti che videro, avrebbero potuto fare e non fecero, però è un giorno di cui abbiamo bisogno per riflettere tutto l’anno. Per trasmettere e per praticare. Tu hai avuto un’occasione che altri non hanno avuto, Ondina, per parlare di seconda guerra mondiale e di quanto accadeva nei giorni nostri, ho dovuto arrivare alla maturità nella scuola. Si ometteva, non per mancanza di tempo, ma per colpevole rimozione. La famiglia è stata importante anche per me e oltre la scuola, la tolleranza e la diversità si insegna in famiglia. Forse adesso è ancora più necessario.
p.s. ti sei scordata l’Africa e l’India, ma è accaduto e accade dappertutto.
Bellissimo post, credo che si utile parlarne anche ai bambini…..perchè il modo giusto con parole opportune, si trovano sempre. Buona domenica!
Reblogged this on In fondo al cuore and commented:
Leggetelo, merita davvvero!
ciao
il reblog di Silvia mi porta qui. Insegno ai bambini e mille volte mi son posta le tue domande arrivando sempre ad una risposta: sì, occorre parlarne anche ai bambini, scegliendo le parole ad una ad una, i libri ad uno ad uno, ma parlarne. Ed io l’ho sempre fatto.
Sull’argomento ho scritto più volte nel mio blog e questo è uno dei post più recenti
http://ili6.wordpress.com/2012/11/25/conto-e-mincanto/
e, come detto nei commenti, il rischio è di rendere la Shoah una favoletta ma è anche giusto che i bambini sappiano della NON favola di altri bambini.
Dici bene: parlarne ai bambini, rispondere alle loro domande non solo per dovere civile e sociale ma anche perchè ancora noi adulti ci indigniamo verso quanto accaduto e ci terrorizziamo qualora la storia dovesse ripetersi. Mai dimenticare e mai accettare il razzismo e l’intolleranza in qualsiasi loro forma.
Ciao,
Maria Rosaria
Buon giorno Maria Rosaria, ho letto quanto hai scritto. Davvero bello ed efficace! L’emozione che ho provato la metto a parte.
Ecco credo sia questo un modo per parlare con i bambini e far capire che ci sono cose enormi per loro e per noi, che non possiamo non vedere.
Con mia figlia ne abbiamo parlato quando ha letto il Bambino da pigiama a righe, ora che è più grande se lo ricorda e ha “affinato” il concetto, mi ha detto oggi” Ma mamma ma come è stato possibile!”
Sono d’accordo con Maria Rosaria. Come insegnante vorrei aggiungere che da quando sono stati “ridimensionati” i programmi di storia nella Scuola Primaria, dobbiamo fare i salti mortali per affrontare questo tema anche con i più piccoli. Parlare di certi argomenti, nella scuola, diventa sempre più arduo, perché non si tratta di raccontare solo una verità; e comunque ritengo che si debba riflettere su certi scempi commessi dall’umanità tutti i giorni, e non solo il 27 gennaio. In Italia queste giornate servono solo a lavarsi la coscienza pro forma, a far finta di essere mortificati, affranti, tristi. Poi si potrebbe segnalare che mancano giornate della memoria per molti moltissimi crimini operati nei confronti dell’umanità… e qui mi fermo, per evitare inutili polemiche…
Un abbraccio e buona domenica a tutti
è importante parlarne con i bambini e sopratutto far credere che le favole è solo fantasia la realtà è altra cosa….io ho visto tanti film su questo argomento e letto il diario di Anna Frank
Sono arrivata qui seguendo il reblog di “In fondo al cuore”
Parlarne ai bambini è lasciare tracce nella memoria e non permettere che tali malvagità possano ripercorrere la storia.
Il tema è molto delicato, raccontare l’orrore non è semplicemente una questione di stili di letteratura ma c’è ben altro, infatti il contenuto di quello da raccontare va ben al di là della memoria storica per interiorizzarsi nella coscienza di ciascuno di noi in forme e modi differenti, ma sempre accompagnate dall’anelito della paura.
Probabilmente Roberto Benigni nel Film<> ha trovato la formula migliore per camuffare l’orrore senza avvilirne il contenuto, del resto quante favole mistificano la realtà…?!
che bello quello che hai scritto.
per me sarebbe importante una presa di coscienza più ampia e istituzionalizzata per i ragazzi delle scuole. non solo una giornata della memoria: gli italiani, di memoria, ne hanno ahimè sempre troppo poca. credo sia fondamentale vedere, conoscere, l’esperienza del contatto. un esempio, renderei obbligatorio un percorso alla risiera di trieste per tutte le scuole. la shoah non è solo lager in polonia, la shoah era in casa nostra.
non empatizzo con la modalità della “vita è bella”. credo che il grosso problema sia che tendiamo troppo spesso ad indorare la pillola. questo ovviamente non significa che non si debba usare delicatezza ed ascolto nel parlare ai bambini, anzi…
Mi piace ciò che hai scritto. I bambini hanno il diritto di sapere, e noi il dovere di trovare parole e mezzi adeguati. Bisogna chiedersi cosa accadrà tra una cinquantina d’anni e forse prima, quando non ci saranno più superstiti a testimoniare la verità, col rischio non troppo remoto che l’Olocausto sia negato perchè troppo scomodo, c’è chi si muove in tal senso già adesso.
Il punto cruciale per quanto riguarda la storia, specialmente quando si propongono argomenti importanti come questo ai bambini in età della scuola primaria, è mostrare la persistenza del passato nel presente. Ciò che ha raccontato Bianca del figlio rispetto all’idea dello zingaro è significativo. Le modalità cambiano, ma anche adesso ci sono ‘vittime’ e forme diverse di prigionia, di discriminazione, e che quelle di adesso non sono ‘un’altra cosa’, ma hanno una matrice comune e disumana. Che l’uomo sia capace di provare odio e di fare del male se mancano del rispetto e dell’umanità, è una lezione che deve essere insegnata, sempre, nel quotidiano, a cominciare dalle regole di semplice convivenza nella comunità scolastica. Le testimonianze della Shoah possono produrre un terrore atavico nei bambini, è importante proporle con cautela estrema.
Già Elena, come è stato possibile tutto ciò? Credo che la memoria serva anche a questo: capire per rifiutare, capire perché non si ripeta mai più.
E’ così A A, bisogna riflettere e parlarne oltre i giorni canonici perché è un problema che continua, perché l’umanità non si è vaccinata. Solo così non ci si lava la coscienza ed emergono anche gli altri olocausti, quelli meno graditi e misconosciuti.Tu continua a seminare, funzionerà. Buon inizio settimana ormai 🙂
E’ davvero importante parlarne con i bambini, Lella, e ascoltarli, condurre e lasciarsi condurre.
E’ vero che il tema è delicato, ma almeno da qualche anno non viene più consegnato solo all’indicibile delle fotografie dei campi di sterminio. E se resta un poca di paura non è poi male perché il nostro lato buio deve farci un po’ paura per affrontarlo.
@adp, ci pensavo proprio in questi giorni che gli italiani hanno poca memoria e quella che hanno spesso abbellisce le cose. Hanno trovato luoghi di avvio in molti parti d’Italia in questi anni e per fortuna le celebrazioni si fanno in questi luoghi. San Sabba era un campo di sterminio, che funzionava perché qualcuno indicava gli ebrei e non solo, qualcun altro, e non erano solo le ss, li catturava. Di questo, oltre che dello sterminio, bisogna avere memoria. E portare i bambini e gli adolescenti in questi luoghi è il miglior discorso che si possa fare.
Con il tempo tutto s’affievolisce e diventa “umano”, credo che questo si possa evitare se negli anni il fatto diviene un esempio per l’umanità. Ma dagli esempi si ricava poco se la lezione, come dici tu, non è quotidiana. Se il rispetto, l’accettazione della diversità non vengono visti come un arricchimento delle proprie vite e parte di un codice etico interiore che regoli i nostri rapporti con gli altri. E neppure se ne può lasciare il compito alla scuola e agli insegnanti solamente, qui le famiglie contano, perché il bambino si fida, assorbe la cultura di casa.