la settima di Šostakovič

Sinfonia n. 7 in do maggiore “Leningrado”, op.60
Dmitri Šostakovič
  1. Allegretto
  2. Moderato (poco allegretto)
  3. Adagio
  4. Allegro non troppo

Organico: 3 flauti (2 anche flauto contralto, 3 anche ottavino), 2 oboi, corno inglese, 3 clarinetti (3 anche clarinetto piccolo), clarinetto basso, 2 fagotti, controfagotto, 4 corni, 3 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, triangolo, tamburello, 3 tamburi militari, grancassa, piatti, tam-tam, xilofono, 2 arpe, pianoforte, archi
Rinforzo della sezione degli ottoni: 3 trombe, 4 corni, 3 tromboni

Inizio della composizione: Leningrado, luglio 1941
Fine della composizione: Kuibyshev, 27 dicembre 1941

…quest’opera potrà chiamarsi Settima sinfonia. Due parti sono già scritte. Ci lavoro dal luglio del 1941. Nonostante la guerra, nonostante il pericolo che minaccia Leningrado, ho composto queste due parti relativamente in fretta.

Perché vi dico questo? Vi dico questo perché i leningradesi che adesso mi stanno ascoltando sappiano che la vita nella nostra città procede normalmente. Tutti noi portiamo il nostro fardello di lotta. E gli operatori della cultura compiono il proprio dovere con lo stessa onestà e la stessa dedizione di tutti gli altri cittadini di Leningrado, di tutti gli altri cittadini della nostra immensa Patria.

Leningrado è la mia patria. La mia città natale, la mia casa. E molte altre migliaia di leningradesi sentono quello che sento io. Un sentimento di infinito amore per la città natia, per le sue ampie strade, per le sue piazze e i suoi edifici incomparabilmente belli. Quando cammino per la nostra città in me sorge un sentimento di profonda sicurezza, che Leningrado si ergerà per sempre solenne sulle rive della Neva, che Leningrado nei secoli costituirà un possente sostegno per la mia Patria, che nei secoli moltiplicherà le conquiste della cultura…

discorso alla radio di Leningrado di  Dmitri Šostakovič, 16 settembre 1941

Dmitri Šostakovič portava grandi occhiali tondi, fuori moda. Scriveva musica in continuazione, seguendo una furia interiore che mescolava ciò che sentiva con l’acuta percezione del posto, degli anni, della storia in cui viveva. Era dentro al suo tempo, totalmente, e così indipendente da esserne fuori. Chi gli stava attorno, a partire da quel caratterino di Njna che oltre ad essere bellissima, aveva una chiara idea di come si vive in coppia, anche con un genio, capiva che quest’uomo viveva nel limite, nel pericolo senza apparente paura. Difficile scrivere musica sotto le bombe, difficile ascoltare i sentimenti che non siano abitudine o profondissimi.

Nell’ottobre del ’41, si preannuncia il freddo a Leningrado, e da giugno sono già iniziati i 900 giorni più lunghi e terribili della storia della città. Bisogna tirar fuori dalle radici ciò che gli occhi vedono, ognuno di noi ha dentro la guerra, polemos è madre di tutte le cose, dice Eraclito l’oscuro, ma ogni pulsione è bilanciata nel suo contrario, vinta, sublimata nel tirar fuori l’uomo dalla bestia. Ecco che nell’oscurità sconvolta delle radici sale la rivolta al sentore d’ingiustizia della guerra, il bisogno di pace, di comprensione, così la vita scorre, anche sotto le bombe nel più terribile assedio che mai la storia dell’uomo abbia registrato.

La guerra, la sofferenza emergono nel tema variato e ripetuto, crescente e ossessivo come nel Bolero di Ravel, solo che in questo caso strumenti diversi lo ripetono, all’infinito sembra. Come le bombe incessanti, come la minaccia. La musica descrive la resistenza all’aggressione e la vittoria finale dell’uomo, ma per farlo deve ricomprendere il reiterarsi del male. L’organico d’orchestra è ampio, riempie lo spazio di suono come fossero le cose a scontrarsi ed esse a schiantare gli uomini, la felicità e la serenità che questi possono contenere. In  questo suono che prende prima il cervello e poi il cuore, si apre uno spazio per contrasto, come se le vite sussurrassero anziché gridare, esprimessero una forza silente che oltrepassa ogni male aggressivo.

L’intera sinfonia non perde mai la speranza, è insita nella resistenza al male prima, nell’intrecciare e confluire poi delle singole speranze in una. Tutte poggiano sulla sofferenza e pure sul riscatto dal male, sembra dire che il male non finisce, ma il bene, inteso come giustizia e possibilità di crescita libera, resiste e vince. Ascoltate il terzo movimento, contiene la vita e la speranza durante la notte della ragione. Ma tutto questo avviene nella tragedia, durante la tragedia, la sinfonia stessa diventa leggenda di resistenza, di vittoria dell’intelletto e della vita sulla morte. Immaginate per chi era costretto giorno e notte nei rifugi, nelle cantine di palazzi ridotti a cumuli di macerie, sotto bombe incessanti e grida di morte e sangue dappertutto e fame infinita, cosa doveva significare immaginare una piazza sgombra e nitida di sole, un albero, un bambino che corre, una tazza di thè caldo, il vestirsi per andare ad un concerto o per vedere una persona amata. La privazione di tutto, ha bisogno di sperare, di veder descrivere la propria paura, la pena, il dolore immane e al tempo stesso ricevere una speranza, questo fa la musica della settima, descrive, narra, rincuora, ed irride chi pensa di piegare lo spirito del popolo con la sofferenza e la morte.

Il popolo non vince per sé, ma per un principio, rimette insieme l’ordine del mondo, il fluire naturale della vita. Polemos è confinato, nella sua forza distruttiva generatrice ha generato il bene, la pace, la fine del patire.

La prima della Settima si era tenuta a Kuibyshev, il 5 marzo 1942, il 9 agosto 1942 la musica torna nella sua città e dopo sforzi enormi per provare sotto le bombe, la sinfonia viene eseguita nella Sala della Filarmonica di una Leningrado ridotta in rovine, dove si combatte casa per casa; dirige Karl Eliasberg con un’orchestra che ha i musicisti dell’Orchestra della Radio richiamati dal fronte, all’esterno della sala vengono messi  altoparlanti, che proseguono fino alle linee di combattimento, sono rivolti ai combattenti russi e verso i soldati tedeschi, la vita di Leningrado continua, più forte di ogni orrore.

Nessuno sapeva allora che l’assedio sarebbe durato sino al 18 gennaio 1944, un tempo infinito di dolori immani, ma inizia la leggenda della Settima, che avventurosamente in microfilm, verrà portata attraverso Persia ed Egitto, negli Stati Uniti ed eseguita da Toscanini nel luglio 1942, un’emozione profonda percorre il mondo: l’intelligenza, l’uomo, non muore, non può essere sconfitto. E’ la speranza, la rappresentazione di un’argine eroico che diventa il simbolo di un mondo che non si arrende al male.

Šostakovič combattè la sua battaglia attraverso la musica, come avrebbe sempre fatto prima, durante e dopo la guerra, dentro e fuori l’Unione Sovietica. Per me è il più grande compositore del ‘900, anche per la forza etica che mise nella sua opera, visse e scrisse musica nonostante il potere, attraversò il mondo e lo piegò.

3 pensieri su “la settima di Šostakovič

  1. niky si svegliò la mattina del 30 settembre 1990 sapendo che sarebbe stata una settimana cruciale. pigramente, con la grazia tipica dei borzoy che gli derivava da suo padre , e prima da suo nonno, e prima ancora dal suo bisnonno, uscì nel grande parco che circondava la Casa e andò a cercarsi un albero adatto per la sua pisciatina mattutina. poi si diresse verso il cancello, in attesa che arrivasse il camion dei traslochi, e l’arrivo degli strumenti…..

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  2. è un buon inizio, davvero buono 🙂
    così pensò Dmitri, mentre fuori le cannonate scuotevano la casa. Con l’incoscienza e l’invulnerabilità dei geni, riprese a scrivere pagine di note. Febbrilmente seguiva la melodia, i contrasti di strumenti che si gonfiavano nel pensiero, ed il furore per l’ingiustizia del male lo prendeva, così tanto che doveva calmarlo per ascoltare ciò che si formava nella testa…

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