L’unica vera novità di questi anni è la crisi e pur non sprecando l’aggettivo epocale, credo che questa modificherà profondamente il mondo così come l’abbiamo conosciuto. Ma qual’è la percezione della crisi? Di essa si vedono gli epifenomeni, gli effetti, e di questi, moltissimi dolorosi, incidono sulla carne vera della persone. Se fossi la Fornero, non dormirei la notte pensando che 370.000 famiglie, per una convinzione opinabile, sono private di reddito, beffate, impoverite e che nel frattempo non solo non si fa nulla per riparare a quell’ “errore” per non toccare principi, ma ben altre spese non vengono minimamente toccate. Basterebbe un bombardiere in meno per sanare tutti gli esodati e ne avanzerebbe per qualcos’altro.
Ma il sonno della Fornero ci riguarda poco, mentre questa vicenda è un’ingiusta interpretazione della crisi, non una sua conseguenza diretta. Però altre sono le conseguenze che riguarderanno tutti e si faranno sentire, cambiando il mondo come l’abbiamo conosciuto: i nuovi modi di produrre, ad esempio, la marginalizzazione delle aree locomotiva del paese (sta scomparendo l’auto e molta meccanica, la cantieristica è in difficoltà, il legno e il mobile sono in crisi, il tessile è mera testimonianza, l’edilizia è in crisi patocca, il piccolo commercio al dettaglio sta sparendo, ecc. ecc.), l’incapacità di far emergere produzioni ed aree tematizzate in grado di dare una direzione industriale al paese, l’attacco strisciante al welfare, il sistema di protezione sociale rimesso in discussione. Mi fermo per evitare un lungo elenco di cambiamenti in corso, ma l’impressione e la realtà coincidono con un paese che scivola verso una nuova posizione in un mercato che non conosce stabilità e in cui la merce ha una centralità diffusissima, ma marginale rispetto alla finanza speculativa, che determina la possibilità o meno dello sviluppo. Non si è mai parlato così tanto di moneta e di finanza speculativa come in questi anni e mai il virtuale era entrato così prepotentemente nella qualità possibile delle vite, nel futuro delle persone, nella mobilità sociale degli individui, abbassandone il rating reale, che è poi la capacità di acquisto reale, ciò che determina se si dipende da altri oppure si è autonomi e quindi liberi. La crisi viene percepita più come solo impoverimento che come forte cambiamento, e se ne avvertono gli effetti economici più che quelli sociali di ben più lunga gittata e trasformazione delle persone. Gran parte degli imprenditori e politici che conosco, ma anche persone, famiglie, percependo la crisi come momentanea stretta di mezzi, aspettano che passi, sono in ansia con i tempi lunghi, pensano che basti fare dei sacrifici perché tra un poco tornerà tutto come prima. Magari non proprio lo stesso di prima, ma la prosperità, il benessere torneranno ad essere una sensazione diffusa, un benessere possibile anche per chi non ce l’ha.
Sono convinto che non sarà così.
Sono convinto che la trasformazione in atto stia rendendo insostenibili molte delle politiche di tutela che hanno sorretto il benessere dello stato sociale, che la sola crescita non basterà per recuperare le vecchie tutele e che comunque la crescita basata sui vecchi modelli di produzione sarà transitoria e perdente.
In un processo logico, si individua il problema, si identificano gli operatori che saranno coinvolti, si trova la soluzione. A volte il problema è così complesso che bisogna scomporlo, ma comunque i singoli pezzi di soluzione si integrano nel risultato finale. Oggi pare non sia così, perché individuato il problema le soluzioni proposte non sono in realtà soluzioni, ma tentativi di tenerlo a bada. Se qualcuno mi minaccia, mi impoverisce, rende precaria la mia vita non avrò possibilità di star bene finché non l’avrò ridotto all’impotenza, in questo momento non è così perché la minaccia è più tutelata del minacciato. Proprio questo impedisce che tutto torni come prima e le politiche degli stati, ma anche quelle personali degli individui devono interagire con il nemico, confinarlo, mettere in atto strategie che lo mettano in difficoltà. E’ evidente la sperequazione che esiste tra chi riconosce il proprio debito, uomo d’onore, e chi tende ad aumentarlo all’infinito dimodoché il debitore non possa mai restituirlo e si impoverisca, perda le tutele sociali e ancora non riesca a restituire ciò che continua ad aumentare perché è fuori della propria capacità di creare ricchezza. Il limite del debito è questo e non avere questo limite rende la crisi modificante del mondo.
p.s. qui mi fermo, avrei altre considerazioni su ciò che sembra macropolitica, ma in realtà riguarda molto da vicino il nostro presente e il nostro futuro, rischierei di annoiare ancor più di quanto fatto, mi basta che riflettiate su quanto ci sta accadendo e come stanno cambiando le nostre vite senza proteste sostanziali. O queste vite valevano davvero poco e quindi, anche se mutano, poco male, oppure davvero tutti pensiamo che questa sia una crisi transitoria che in realtà non muterà il sistema e che tutto tornerà come prima.
Non è una crisi transitoria, bisogna vedere se finirà (spero di sì ma solo perchè credo che tutte le vicende umane abbiano un inizio e una fine), bisogna vedere soprattutto come finirà, con quali conseguenze e soprattutto non ritornerà tutto come prima. Assolutamente no.
Ma quel che mi preoccupa di più sono due cose: la mancanza di presa di coscienza da parte della maggioranza delle persone della portata della crisi e, da parte di chi sarebbe preposto a farlo, l’assenza di indicazioni di soluzioni pratiche (solo teoria finora) per tentare di risolvere.
Sinceramente non so dove andremo a finire.
Serena giornata Will
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