occupazioni per giorni senza vento

Conservo immagini di dita sottili e forti, intente a sciogliere nodi. Non riesco ad associare loro quel tratto che tanto mi disturba, ovvero la presunzione. C’è una pazienza nel dipanare che riguarda noi prima di ciò che si scioglie e che non si combina con la fretta del capire superficiale: ho già capito, ti ho capito, tu sei così. E’ l’esercizio della dolcezza nel conoscere, una sapienza che si radica e non è conoscenza acquisita attraverso lo sforzo mnemonico, ma possesso reale. Non c’è possesso vero senza rispetto, non c’è comunicazione profonda quando si presume, semplicemente c’è solo fretta. E quando è il tempo che diventa il regolatore, allora anche l’annodare, ovvero ciò che allaccia funi altrimenti sciolte, diventa frettoloso, punta al risultato e non si cura della bellezza del nodo, la sua complicazione è un ordine ritenuto inutile, sfugge la complessità per passare ad altro.

Le dita sottili e forti sciolgono nodi e riannodano: il tessere e il costruire. Oltre l’arcaico mito dell’uomo inerme, in balia d’ una volontà altra, tra le tante similitudini delle relazioni questa mi è cara perché è governo e disciplina del privato. Ovvero ciò che siamo e vogliamo essere davvero, senza finzioni nè inutile apparire.

6 pensieri su “occupazioni per giorni senza vento

  1. Forse quella che chiami “presunzione” è fiducia nel proprio sentire, non è un apporre il marchio su cose, fatti o persone. Ogni persona ha bisogno, oltre che di pazienza e disponibilità all’arte di annodare e sciogliere trame, anche di un necessario riposo in cui si lascia guidare dal pilota automatico. Scivola su una superficie con la fiducia in ciò che guida, indipendentemente dalla pressione, dai tempi e dagli intoppi lungo la via. Non ritengo sia fretta, ma necessità di riposare un po’.

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  2. Di certo la presunzione oltre che sugli altri si esercita su di se’, include il giudizio e la decisione conseguente. Presumere e’ naturale, ha salvato l’uomo dall’estinzione perché doveva capire dov’erano i pericoli, ma c’e una forma di presunzione che non sopporto ed e’ la supponenza. Non c’e nulla che la giustifichi se non le deficienze proprie da mascherare accuratamente. Bene con la supponenza non so che fare, cosa capire e siccome credo non costruisca nulla oltre alla superficialità non la sopporto. Ma il supponente non ha bisogno di riposarsi, di trovare angoli di quiete deve, semplicemente deve, tacitare ciò che gli dice che non va bene, che non rispetta se prima degli altri.

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  3. Il “voler essere” è altro rispetto all'”essere”. E’ l’ “essere” finalizzato a uno scopo. Se con la volontà possiamo essere lontani dall’apparire, più difficile è esserlo altrettanto dalla finzione. Personalmente i rapporti che amo sono quelli in cui posso essere me stessa, senza volontà di essere, ma semplicemente essere come sono. Forse questo è già supponenza, e io non dico di non essere supponente se credo ai rapporti in cui la volontà che è pur sempre una mediazione, quando non un artificio, si limita al bisogno, all’aiuto, dove l’altro è in difficoltà. Ma nelle relazioni vi è un “mistero” che qualunque volontà anche a fin di bene non può sondare e riprodurre. Per quanto mi riguarda, io non vorrei che mi venisse richiesto di rinunciare a me per salvare un rapporto. Perciò non mi sognerei di chiderlo, sarebbe un inutile artifizio. Questa sì che sarebbe supponenza. Semplicemente a volte si scopre di non essere fatti per essere compatibili, ed anche le sintonie si possono interrompere in punti talvolta imprecisati.

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  4. La supponenza è il giudizio senza l’ascolto, è la negazione della comunicazione orizzontale, dove una parte sa già tutto. Essere se stessi è il regalo che possiamo fare ad un’altra persona, poi chi lo riceve deciderà se gli piace o meno, ma più di così non si può fare. La sintonia è qualcosa che si coltiva, è un giocare a memoria, senza fatica, ma forse prima della sintonia si interrompe qualcos’altro e l’interruzione è un sintomo, un avviso ai naviganti che magari hanno già la testa altrove.

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