l’esercizio della memoria

Fuorviante. Il titolo può riportare a seiconsiglisei sull’esercizio del ricordare ad uso di studenti, manager, enigmisti, perditempo, ecc., ma oggi nell’era delle memorie a 80 euro il terabyte perché ricordare? Qualcuno uniforma la memoria, la formatta, la infarcisce di fotografie che saranno viste, al più, una volta, inserisce citazioni, testi che non si apriranno mai perché pensati in un’epoca in cui esisteva la memoria umana ed ora distorti nel mezzo che non creerà mai la voglia di consultarli. Solo le parole crociate a schema libero ci salvano, con il loro concludersi in un tempo accettabile e con il test di memoria (?) anti Alzheimer, sotteso, che fornisce una moderata considerazione di sé. Per poco, ma tanto basta, fino al prossimo: dovevo dirti una cosa, aspetta non me la ricordo, ma viene

Non sono un buon fruitore di manuali, di nessun manuale, i manuali non incuriosiscono, fanno il loro onesto mestiere di accumulo di notizie, però, come per tutti, anche per me, l’età dei manuali c’è stata, e in parte c’è ancora. Allora dovevo cercare un manuale che aiutasse a leggere il manuale: tecniche di lettura rapida ad uso dei politici, uomini d’affari, studenti, insegnanti, lettori di frodo. La rapida lettura del manuale, in oggetto, rivelava, allora che il computer non c’era ed era, casomai, un fantasmagorico insieme di lucine, odori, rumori (ebbene sì, ho lavorato per molti anni in informatica, alcuni -pochi per fortuna- addirittura con il sacrale camice bianco), che quello che abitualmente facevo, e ancora faccio, ovvero leggere in piedi in libreria, faceva restare in testa pezzi di libro. E con alcuni pezzi di libro, se ne possedeva il senso, e ciò valeva per un documento, per un romanzo, per un saggio. Per un manuale no, ma questo lo scrivevano a fine libro, ed era una fregatura. Lì era questione di fortuna (o di culo come si diceva allora, quando, oscuramente, l’uso della parte anatomica veniva connesso all’evento positivo e fortuito) e se l’esame o quant’altro, veniva superato era più per il metodo Churchill ( si raccontava che il nostro grande statista, nonché duca di Marlborough, e qui l’affinità fonetica con le sigarette rendeva simpatica una figura, altrimenti molto controversa, avesse studiato un solo capitolo la notte prima dell’esame, ignorando tutto il resto e considerando che la bella vita fatta fino a quel momento, era comunque stata ben spesa, ed il giorno successivo, proprio su quel capitolo si fosse svolta l’interrogazione, promuovendo lui e il caso ad alti destini), che per l’abilità nel leggere a salti. Ma tutto ciò, sublimato nella mistura di brivido e incoscienza  che portava ad affrontare prove (trascinando nel retrobottega pesantissime catene di colpe e propositi a scadenza rapida: non s’era fatto un cazzo per troppo tempo), dalle quali, quando si riusciva ad emergere moderatamente vittoriosi, era la prova provata che quel contenitore, definito sterile, svagato, incostante, fannullone, roccioso, inconcludente e svogliato, dagli insegnanti, per qualche oscura proprietà propria aveva sviluppato una singolare attitudine al ricordo dell’inutile, del superfluo, dello scoordinato. Come vi fosse stata una formattazione dei neuroni che li portasse ad occuparsi di ricordare pezzi di divina commedia, uno dei principi della termodinamica, Carducci e Ungaretti, gli stati oscillatori dell’elettrone, qualche soluzione stechiometrica ai problemi di scambio ionico, un paio di leggi di ottica, molto Bulgakov, Hemingway sparso, Calvino e Montale, i simbolisti russi, ecc. ecc. 

Avevano ragione, gli insegnanti, e quindi volendo riassumere, della scienza e letteratura restava solo l’esercizio della memoria associando l’odor di caffelatte con il ripasso dell’ultima poesia di Carducci, le paure delle notti prima degli esami senza le piacevolezze del film, ma anche quell’informe gomitolo di cose variegate e simpatiche che erano niente e tutto. Niente agli altri e tutto quello che si aveva per sé. Sarà pur valso a qualcosa il leggere vorace e senza sistematicità dalla fantascienza alla scienza, transitando per la letteratura, e se alla fine si   era ottenuto il risultato del ricordare per sé, non per altri che esigevano ordine, sistematicità, senso comune. Ecco, miei cari, di tutto questo procedere per salti, delle dimostrazioni di ricordo-random, cosa resta oggi che posso ordinare sul mio hard disk esterno pezzi di vita formattati? Moltissimo, se rifiuto che quello che è al massimo un mezzo affascinante (molto meno di un mezzo, il notes dello snobbettino, conterrà cose che nessun computer riuscirà mai a riprodurre), ma poco funzionale alla capacità di ricordare per il sé in evoluzione, essendo al più sostitutivo: io ricordo quello che tu ricordi di me, che ti ho detto di ricordare cristallizzando un momento in cui mi pareva che l’universo fosse quell’insieme di ordine e in realtà parlavo di un pomeriggio di felicità o da cani. E’ evidente che attraverso questi ricordi, si tornerebbe all’ipse dixit, ad un momento perenne che esclude uno dei grandi fasti fascinosi della memoria, ovvero la riemersione del ricordo, ed anche quell’esercizio del ricordare che non inficia il presente, ma anzi lo modella e lo porta a muoversi. Quando mai una poesia o un teorema che ci torna in mente ed alla fine rivela la solarità della dimostrazione, hanno mai prodotto cristallizzazione nel percepire, nel movimento, nel vivere? In questo l’esercizio della memoria utile a sé, prescinde dall’offerta scontata del grande magazzino, riporta nella lettura rubata in piedi, alla consuetudine di rileggere per mantenere a mente una folgorante sequenza di parole ed immagini, al guardare con sei sensi a disposizione un luogo, un evento e al fissarlo in mente prima che con la macchina fotografica, a volte addirittura rinunciando al pezzo di bravura, per non confondere l’esperienza con l’immagine. Sconclude in quel rimescolare, accettabile se non viene detto, di pensieri, ricordi, spinte, voglia di fare e d’essere e fornisce quell’unicum che siamo. Non la memoria esterna e i diari, ma l’esercizio della memoria come fatto costruente, personale ed utile solo a sé. Come questo scrivere che altri fini non ha se non seguire il sollecitare d’un pensiero che, volutamente, non sistematizza in quando perderebbe fascino, soavità, fragranza di nuovo. E’ un esercizio inutile come una carezza e rassicurante come una carezza: si è sbagliato tutto, quello che sembrava contare, per fortuna è rimasto l’amore. 

6 pensieri su “l’esercizio della memoria

  1. Ecco l’hai detto: per fortuna che è rimasto l’amore. 🙂

    Ho sempre avuto un rapporto controverso con la memoria: più voglio ricordare e meno ricordo.
    Vorrei custodire tanto ma non ce la faccio, affido parte di questa mia mancanza alla fotografia anche se vorrei essere capace di scrivere bene per affidare i ricordi più importanti (riuscendo a non deformarli) ad un foglio.

    Non riesco a leggere in fretta e poi dimentico il testo di quello che ho letto, mantenendone il senso e il bello però, dai 🙂
    Dimentico persino il titolo del libro che sto leggendo… 😦

    Poi un fatto, una libera associazione, un profumo, un rumore scatenano inaspettatamente un ricordo. E questo mi piace.

    Il fatto di dimenticare quello che in realtà vorremmo ricordare, anche se mi può sembrare fastidioso, lo considero un modo di difesa e di libertà della nostra testa alla quale imponiamo una mole immensa di cose da tenere a mente,
    oppure mi rivela che volevo più o meno consciamente e deliberatamente non ricordare.

    Il ricordare è molto personale: è interessante osservare come un fatto vissuto in contemporanea e condiviso da alcune persone possa essere ricordato a distanza di tempo in maniera molto diversa dalle stesse.

    Ma spiegami un cosa: non ho mica capito perchè lo scrivere per te è un esercizio inutile come una carezza: permettimi di dirti che …. ti lascio la scrittura e mi tengo la carezza 😉

    Serena giornata Will, ciao

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  2. Ho dimenticato quello che mi era venuto in mente leggendo. Ma ricordo che mi hanno insegnato una teoria, che per ora continuo a condividere, secondo la quale – la dico a braccio, discorsivamente ma più o meno sarebbe la stessa cosa anche la dicessi dottamente – secondo la quale se non avessi esercitato la memoria avrei visto tanti segnetti di varia forma grandezza e colore. Invece ho visto lettere dell’alfabeto. Incatenate tra loro a formar parole. Incatenate tra loro a formar frasi. Incatenate tra loro a… incatenate da chi? Da te. Da cosa, di te? Dalle dita che battevano sui tasti, sì, ma a monte? Alto, monte – la cima? Incatenate da quelle strutture nervose centrali e periferiche che in te costituiscono la base materiale di una funzione che chiamiamo memoria. Senza della quale nulla – dice la teoria – sarebbe mai stato scritto, da nessuno, e non solo scritto: nulla sarebbe mai stato percepito nel tempo, ma solo in uno sfuggente eterno presente senza significati. Senza quella funzione, questo scrivere, l’aver letto, sarebbe impossibile. Sarei, per dire, un cinese che conosce solo la lingua cinese – che vedrebbe, del tuo post? – il quale ha dimenticato tutto della sua lingua – ha dimenticato ogni lingua. Anzi, metti che ha dimenticato tutto, e non solo: non può più ricordare niente, né a breve né a lungo termine: non vedrebbe più niente, dice la teoria, anche vedendo. La percezione è impossibile senza memoria.

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  3. Hai detto “un momento perenne”, a volte mi è capitato di esprimermi con “un istante che si eterna”. Non so se intendiamo la stessa cosa, ma a volte accadono episodi e si ha una sorta di penetrazione che attraversa da parte a parte la memoria. Quasi una luce che trapassa e illumina un intero percorso senza per questo concluderlo, anzi dilatandolo.

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  4. @Ondina: nella nostra testa c’è posto, anche per tutto quello che ci pare di non ricordare. Sono fortunato a metà, la mia memoria non ha fini utilitaristici, però ricorda molto, a scuola non mi regalava nulla, nella vita continua a dare. Mi piace molto l’idea di ricordare ciò che mi è inutile e utile al tempo stesso, se provi vedrai che la stessa cosa vale per te.
    E grazie per la musica, serve 🙂
    @Romeo: ragioniamo moltissimo per analogia e senza memoria ragioneremmo ben poco, in fondo ragionamento e accumulo d’esperienza viaggiano assieme finchè funzionano i neuroni.
    @Kiver, sempre troppo buono e la tua musica mi piace. Grazie 🙂
    @mOra, ragionare per ossimori, non solo ha fascino ma esprime bene le contemporanee sensazioni contrarie che ci colpiscono. Questo dimostrerebbe che siamo ben più complessi di quanto appare e meno scontati anche quando ragioniamo con la memoria. Il raggio di luce che squarcia e cuce ciò che prima non si capiva o connetteva capita anche a me, devo dire che è una sensazione che annulla tempo e spazio, come non ci fosse una sequenzialità e rende presente ciò che è stato.

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