Per un processo misterioso alcune parole assumono, in alcuni momenti, una rilevanza inconsueta e diventano di moda. Opacità è una di queste e mentre prende il centro della scena, annebbia la sostanza delle cose. Se ci sono dubbi sui conti, ci sono opacità, un tempo c’erano sospetti. Se il rapporto tra due persone è diverso da quello che una racconta, ci sono opacità, ma in realtà si nasconde qualcosa. Come se si potesse rubare senza rubare, tradire senza tradire, insomma che siano ladri o corna adesso è l’opacità che avvolge la realtà. Opacità è ciò che non posso vedere, se non come ombra, o che non voglio vedere perché l’ombra mi tranquillizza. Quindi l’opacità è una scelta consapevole, perché non si ha voglia di veder chiaro, sperando che non ci sia nulla oltre l’evidenza e perciò il rifiuto di governare la nuova realtà.
L’opacità riserviamola alle meduse, che se per caso toccano fanno male.
p.s. ho trovato il termine oltre che nella vicenda del Senatore Lusi, anche in un articolo di economia, di Deaglio, su La stampa, e nel discorso, condito di allusioni, tra due coppie al bar. Adesso mi aspetto che non mi si deluda e che per un paio di mesi ci sia il tormentone dell’opacità a piè sospinto.
Non ho mai compreso il motivo per cui non si assegnano ai fatti le parole che esattamente descrivono la situazione.
Non è che usando una parola più “soft” (vedi escort in luogo di prostituta, ecc.) si cambia la sostanza delle cose. Quelle sono e quelle restano.
Forse che l’evento così descritto è meno … impattante, più edulcorato e risveglia meno sensi di colpa?
Già qualche tempo fa qui, commentando, ho scritto della necessità di riflettere sull’uso corretto delle parole, di utilizzarle nel loro il giusto significato.
Buon fine settimana, Will, ciao
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Tutto pur di non deluderti Will. Ho già preso il blocchetto appunti per prendere nota 😉
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come hai già precisato tu sono mode….che lasciano il tempo il che trovano, buon fine settimana!
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Forse è un lapsus. Volevano, vorrebbero, vorranno dire pocacità.
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Proprio ieri sera mi sono espressa usando il termine “parzialità” riferendomi a una situazione in cui un rapporto non evolve verso un pieno affidamento, ma resta sospeso in una sorta di limbo. Ti dirò che il mio dubbio si addice al post di cui sopra: sarà una scelta consapevole quella di lasciare le cose nell’indistinzione, simile ad una sagoma intravista attraverso il vetro di una doccia, oppure è nell’ordine naturale degli eventi? Voglio dire, le cose non sono chiare di per sè o non si vogliono chiarificare, disambiguare per opportunismo?
Avrei potuto usare anche io il termine “opacità” e sarei entrata nel novero dei modaioli lessicali. Sarebbe però interessante verificare la relazione tra certi vocaboli di recente e diffuso utilizzo e le rappresentazioni sociali che identificano. Tutto si può dire meno che questo sia un periodo storico di certezze. Forse ne hanno ben donde se lo usano.
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Ci sono momenti in cui esiste la necessità di sanare, di guarire e l’ aggiungere dettagli, ferite, non aiuterebbe. In fondo il corpo sa molto più di noi, che da sempre siamo alla ricerca di capire il suo linguaggio.
Le opacità di cui parlo, l’hai ben capito, non sono queste. Di certo in politica e non solo, pare che sfumare sia diventata una necessità per mantenere i rapporti nel tempo dell’insicurezza. Ma mi piacerebbe parlare delle altre opacità che si vivono e si mescolano nel furore di capire e conoscere fino in fondo, col momento in cui bisogna tirare il fiato ed allora basta la sagoma intravista per capire. Hai ragione, questa è una scelta più o meno consapevole, ma credo di opportunismo buono. Su quello cattivo in questo campo, credo che tutti abbiamo ampia casistica. 🙂
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magari “volessero”, ma non è un lapsus 🙂
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