ci aggiravamo

Il mare non delude nel primo giorno d’anno, una folla propizia i giorni che verranno, percorrendo la spiaggia, la diga. Forse sono spinti dai residui della notte che ha fatto alzare tardi, oppure dai caffè chiusi, o dal sole inusuale nel suo calore in gennaio, ma comunque sia, sono davvero tanti.  Sul corso e tra le calli, solo i bar dei cinesi sono aperti, lì gli avventori sono gli stessi di sempre, persi tra bianchi e spritz, il mare ce l’hanno in testa. La novità è che le macchinette mangiasoldi tacciono, sono un po’ in crisi, mancano anche gli spiccioli. Come nel film di Segre, la barista segna nel libro le consumazioni. Pagheranno a fine mese con la pensione. Chiodi, si chiamano da queste parti, i debiti; un tempo si viveva a credito e il debito non si estingueva mai. Tornano vecchie abitudini mai spente, in questi bisogni piccoli c’è una fiducia illimitata nel futuro: accadrà qualcosa che porterà denaro e tranquillità. Intanto si beve a credito e il piacere non si rimanda. Poco lontano il flusso riempie i parcheggi sulla spiaggia, ferma le persone al sole. Ci sono tanti cani e padroni divisi a metà tra le chiacchere e il richiamo dell’animale. E’ tutto troppo, ma allegro, siamo tutti sauri al sole.

La testa torna indietro, non è importante il ricordo delle notti portate all’alba, ma ci aggiravamo da quelle parti, lì o altrove non importa, nei giorni di festa. Era un moto compulsivo in attesa di qualcosa che sarebbe pur dovuto arrivare. Non si capiva bene cosa,  perché erano desideri piccoli e forti, ben piantati nella testa, e nascondevano altro. Ma non lo sapevamo, sembrava tutto semplice, i giorni ancora incartati come regali, la vita, le vite, nuove di zecca. In quell’infinito dire, ascoltare, quello che si sarebbe voluto, si rintanava la differenza, quello che avrebbe fatto allontanare dagli altri, perché mica ce li raccontavamo davvero i segreti profondi. Non eravamo ragazze. Quelle si dicevano tutto e quando arrivavi di colpo tacevano e cominciavano a ridere e tu non capivi, ma c’entravi. Solo non capivi.

Adesso m’aggiro ancora e capire è diventata una costruzione infinita, i giorni sono ancora nuovi, dentro carte stropicciate, se mi siedo al sole, guardo in silenzio. C’è tanto da vedere, da sentire, che mi pare ci siano infinite vite da costruire e che a noi resti il compito di non stancarci, artigiani in vena d’arte. La propria. E poi è così bello che l’anno inizi con il sole, con tante persone che cercano il mare, che alla fine anche pensare, ricordare, diventa una fatica. E’ festa, ci sarà tempo.

4 pensieri su “ci aggiravamo

  1. Bello questo flashback sulla giovinezza che si stacca dal presente della gente, insicuro ma tenace anche nei piaceri. Quell’aggirarsi quasi a vuoto, una specie di moto apparentemente afinalizzato e ripetitivo (io ricordo l’andirivieni in un’unica via del centro, per ore, si diceva “fare le vasche” perchè era come nuotare in piscina). Eppure in quell’andare le cose venivano fuori. Camminare fianco a fianco, in tre o quattro, guardare avanti e non negli occhi; ci confidavamo a volte, ridevamo moltissimo. Si attendeva, è vero, qualcuno o qualcosa. La camminata prevedeva un’interruzione piacevole, in fondo ci preparavamo con l’adrenalina giusta del movimento ripetuto. Cosa mi fai ricordare 🙂
    E questo sole. Mi ricorda la passeggiata sul mare in Versilia. So che non sei di queste parti, ma non posso non vedere questi luoghi che mi sono familiari. E sì, capisco cosa sia il sole il primo dell’anno sul mare. Che sia propizio allora.

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  2. @m0ra: credo che molti abbiamo ricordi analoghi, con parole che si sovrappongono, in posti apparentemente distanti. Quelle “vasche”, si chiamavano così anche nella mia città ben prima delle tue, erano il bisogno di dire e di essere confermati, di cogliere l’occasione che difficilmente arrivava. Che fosse quello il kairos l’ho capito dopo.
    Che davvero il tempo sia propizio e ricco di occasioni. 🙂

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  3. continuo solo a premere “like this” perché i tuoi post sono pieni già, mentre li scrivi, di ciò che aggiungerei. i like.

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