solidarietà

Dai discorsi che sento attorno, camminando sull’altopiano, emergono i luoghi comuni su chi sta già male e non si aiuta da sé, su chi vedrà ridimensionato il suo modo di vivere, sulla crisi che alcuni non sentono, ma è un sentire che guarda dentro confini precisi.

Una battuta sull’alluvione in Liguria, ché quella di Messina pare non ci sia mai stata, riporta la solidarietà di chi, appena un anno fa, visse disastri analoghi. Come fosse tutto confinato in un’emozione che si delimita nel ricordo, per analogia, nel gruppo vicino. Mi viene da pensare che la solidarietà ed il suo corollario politico, ovvero la partecipazione, sia una virtù borghese e liberale, uno sfizio che un poco pescava nella religione, anche se questa pensava molto ai suoi (dello stesso dio) e un poco nei discorsi salottieri di nobili pensatori (magari soci al contempo, di qualche impresa che esportava schiavi). Che poi la cosa sia sfuggita di mano e mutata in socialismo e diritti, sia confluita in modo di sentire lo stato, la politica e il governo delle cose, e così sia stata estesa a tutti, usando come massa manovra quelli che nulla avevano, per rafforzare l’idea dell’eguaglianza e della solidarietà. Vecchie teorie morte con l’internazionale proletaria. Certo è che oggi drasticamente cala la solidarietà con proporzione inversa rispetto alle notizie che dovrebbero sollevarla. Una pelle si sta inspessendo e si torna al villaggio, alla cerchia di quartiere, tra poco ai nuclei di parenti. Rinchiudersi nei vincoli, nelle pareti perimetrabili e difendibili, pare diventi un luogo di nuove solitudini. Non quelle feconde per scelta, ma quelle della paura e dell’insensibilità. Mi tornano in mente i versi di Brecht, su chi sono andati a prendere prima di arrivare a te, e penso che una tensione è caduta senza essere stata rimpiazzata. Di certo verrà qualche nuovo pensiero, assieme ai conflitti che ogni idea si porta dietro. Continuerà ad oscillare, lo diceva anche Croce, tra la tensione verso la comunità e quella verso l’individuo. Verrà e intanto s’aspetta, magari mettendoci qualcosa di nostro nel sentirsi parte d’una comunità più grande, chessò un pensiero, un’azione e non perché è natale, ma per non sentirci troppo soli nell’attesa.

8 pensieri su “solidarietà

  1. La “solidarietà”
    non può che nascere dalla coscienza morale del coraggio.Da qualche parte ci sarà sempre ma i “molti” resteranno i primi e forse anche un pò dannati.Non aspetta certamente a me,giudicare.Personalmente posso dire che la “mia” parte continuo a farla anche se con mille disagi.Il resto non mi riguarda se non per la tristezza che leggo sugli occhi che incontro.Bianca 2007

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  2. predicheheheh è un tag stratosferico, mi piace, come sempre, quando si è capaci della giusta dose di autoironia
    per il resto, come sempre, fai pensare

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  3. sarà capitato anche a te di essere invitato ad un bel charity party, di quelli upper, dove la gente in vista della città si ritrova a mangiare come non mai nella sua vita e il contributo và ai bambini poveri negri. ci sono andata una volta, io. al museo del cinema, molto cool, euro 20 a testa, destinazione , mi sembra di ricordare, bambini neri etiopici, ma poteva essere anche darfur o mali, andava bene lo stesso. donne anoressiche, maschi con la pancia, conversazione noiosissima, pure un prete per dare l’immagine di cristo in croce, foto dei bambini agonizzanti per farti sentire una merda. alla pasta si buttarono tutti sui piatti come assatanati, con spintoni e piattini caduti e calpestati.
    penso che la solidarietà sia fatta di gesti più che di pensieri, di atti più che belle parole.
    ovviamente questo va bene per la gente normale, gl’altri vanno ai charity parties.

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  4. da anni non ci vado più, venivo invitato quando contavo qualcosa, un centinaio di euro da inviare a iniziative importanti, che ti mostravano finché mangiavi. A tavola si cazzeggiava, si parlava d’altro, si guardava il bello attorno. Adesso faccio l’autarchico insieme ad altri, tre progetti in senegal, qualcosa vicino a casa, controllo sulla spesa perché vada a chi è il destinatario. A gennaio torniamo a vedere e non ci sono villaggi turistici vicini. Un bagno di realtà altra, senza pietismi, per imparare. Se interessa vi racconterò quello che si fa.

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  5. Proprio oggi, girovagando per il centro, notavo il gran numero di esercizi commerciali che vendono complementi d’arredo o accessori di abbigliamento; numerosissimi i centri estetici e i saloni di parrucchieri. E’ il trionfo del superfluo ma questo è l’essenziale per chi torna al culto di sè e si chiude nel proprio “nido” fornito di tutto. Il mondo fuori è brutto e cattivo.
    Può essere un momento preparatorio, come quando i bambini hanno una regressione temporanea prima di compiere un “salto” di crescita.
    Vedremo…

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  6. @ mora:
    Speriamo sia così, il fatto è che come per le diete, la mancanza di oggetti superflui deprime. Poi una pressione continua esterna, rafforza la pulsione all’acquisto, il sistema si regge sul surplus di beni, in gran parte privi di utilità. Se posso dire, anche estetica.
    Il movimento per la decrescita felice è comunque una nicchia, tollerata dal sistema e vista come bizzarria, il lavoro è su di noi e sul superfluo che scegliamo come vitale.

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