ti parlo di Ferrara e ti racconto dove s’è fermato il suono

Di Ferrara ho dentro, una neve che fioccava e saliva (perché la neve nel vento sale e riluce di riflessi), nella notte tra il castello e la piazza.

Ho una nebbia d’autunno, gialla e bellissima, che impediva di vedere oltre qualche metro e faceva sentire le voci, e le risate degli altri passanti, allegri e vogliosi di questo anonimato improvviso.

Ho il ricordo d’essere uscito da teatro, con l’eco di un concerto bellissimo, e quella musica che non mi lasciava, era in auto nei 90 chilometri verso casa, tanto che, per non turbarne la bellezza, la radio restò stranamente spenta.

Di Ferrara ho l’oca giuliva, un posto vicino al porto, sul fiume, dove ascoltare il cibo e il dialetto. Ho la gioia del camminare seguendo i percorsi dei palazzi degli Estensi, il guardare tutt’attorno in piazza Ariostea, e la sensazione che se una famiglia, che dava nome ad un palazzo Schifanoia, era già moderna nel 1500. Ma soprattutto ho Bassani e la sua liason tra città e persone, tra fasti e decadenza.

E’ una città da sfumature Ferrara, da sangue sottile che, appena si supera lo stupore del rosso del cotto, entra nelle arterie, pulisce ovunque e lascia la bocca buona. Come un lambrusco secco e il pane fatto di cornetti ritorti e ragni di pasta. Bisogna stare attenti a non romperli, i ragni, come la città, e poi staccarli uno per volta – sono quattro più il corpo centrale – per gustarne la morbidezza croccante, con voluttà.

Ho una strada, che si apre sul lato destro del castello, sorpassati i portici del teatro, e che porta verso le mura. A Ferrara tutto porta più o meno verso le mura.

Questa città, la amo più di notte e di primo mattino, che nel giorno pieno, più d’autunno e in primavera che nelle altre stagioni. Nella luce, il rosso dei mattoni invade la vista, è una sorta di persistenza nell’occhio, per cui tutto, anche nei sensi, prende questo colore come radiazione di fondo. I colori, il selciato bellissimo, i marmi del duomo, le piazze, le facciate delle case e i cortili ombrosi che s’intravvedono dai portoni, tutto ha un ricordo del rosso del mattone a vista. Forse è una forzatura, ma anche il colore della cibo è caldo, forte, robusto di pianura e di paziente cottura. Ma quella strada di cui parlo, che porta verso il cimitero, questo colore non lo tiene con sé, perché è un luogo sospeso, asincrono a noi e al tempo. Un luogo fatto di mura alte e di varchi, di un giardino che si vede oltre un muro e sembra enorme, come il Giardino dei Finzi-Contini, e così subito porta a Micol e al suo essere questa città. Ai lati della strada, case un tempo modeste, erano periferia del principe ed oggi sono un altrove dell’anima. A maggio ci sono rose che sbucano dai giardini, i marciapiedi di ciottoli, ( porta scarpe basse dalla suola sottile, le devi sentire queste pietre che hanno rotolato nei fiumi, ed ora accarezzano il piede), ma soprattutto c’è il suono fermato. Oltre alla bellezza del posto, cui manca solo una carrozza che lo percorra, per narrarne il tempo, è il suono che m’impressiona. Ogni volta. Le voci, i rumori sono educati, governati, con una sensazione di pace ovattata che testimonia esistenze e senso della misura. Il passo rallenta per ascoltare il silenzio, l’aria è dolce ancora per un poco, poi le punte di freddo si stempereranno nei bar, nella cioccolata. Amara e densa, per me, grazie. Con la panna a parte. La sensazione sparirà poco a poco nella passeggiata sulle mura, ma ti resterà il bisogno di tornare. Non per una mostra od altro, sarebbe troppo banale, ma per il posto che sentirai romantico, come pochi altri e fatto di silenzi e pensieri circoscritti. I tuoi.


13 pensieri su “ti parlo di Ferrara e ti racconto dove s’è fermato il suono

  1. VOGLIO VIVERE A FERRARA PER IL RESTO DEI MIEI GIORNI.
    Pensavo di conoscerla (bene o perlomeno abbastanza) ma mi sbagliavo.
    Voglio allora vivere a Ferrara.
    Micol che ama i cimiteri oltreche i giardini in tutte le stagioni.

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  2. E’ vero, Ferrara è bellissima e ci si torna volentieri perchè è a misura d’uomo e la prima volta che ci sono andata è stata questa un’inaspettata e meravigliosa sorpresa.

    Anch’io mi sono incamminata verso il cimitero ebraico (non so se è lo stesso di cui tu hai parlato), purtroppo chiuso.
    Anch’io ho notato il rumore pacato di questa città, le sue tantissime biciclette, i suoi ciotoli.
    Però non avrei mai saputo descriverla così intensamente come hai fatto tu, bravo!

    Buona domenica Will, ciao

    ps. ottimo il pane … a ragno 🙂 ma come fai a non romperlo? 😉
    la cioccolata densa (e mica tutti te la fanno buona e di giusta densità, sai, sono esigente io in merito) la preferisco senza panna 🙂

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  3. Le tue parole svelano questa città. Ci sono stata qualche giorno, tre anni fa. Ne mantengo ricordi un po’ confusi. Credo anche di conoscerne il motivo. Mi piace pensare che un giorno ci tornerò. In realtà lo penso sempre di ogni luogo che attraverso.
    Ciao Willy

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  4. Dove si è stati bene si dovrebbe tornare, per star bene in modo diverso. Ferrara è tra le mie città di riferimento, da uomo di pianura, e da nebbie. Se tornate a Ferrara, fate un fischio, può essere che sia tra quelle strade.
    Buon inizio di settimana e San Martino è in arrivo con la sua estate. Speriamo 🙂

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  5. Ondina, il cimitero ebraico è veramente da visitare..la prossima volta suona il campanello e, vedrai,qualcuno ti aprirà.

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