Le nostre memorie ci svuotano della responsabilità di ricordare. Siamo pieni di tracce, di occasioni messe da parte: migliaia di fotografie che non guarderemo più, centinaia di migliaia di parole scritte, conservate, seppellite sotto altre parole, che a loro volta, verranno conservate.
I mangiatori di loto hanno trovato la coscienza che perdona il dimenticare, basta conservare. Non importa chi siamo, chi siamo stati, ma le tracce che sono a disposizione per certificare che davvero abbiamo un passato. Siamo così ricchi di memorie esterne che possiamo permetterci di non avere più memoria di noi e del mondo, e tutto ciò che è accaduto non lascia traccia sui nostri corpi di vetro. Cos’è accaduto ieri di importante? e un mese fa? ed un anno or sono dov’ero? cosa mi accadeva attorno? Restano le cicatrici senza contesto, di ciò che ci ha cambiato, fosse felicità o disperazione. Fatti personali privati dalla storia. E perdiamo spirito come gomme bucate, diretti verso un grigio in cui nulla è importante, in cui nulla accade davvero. Non tu, non io, neppure i drammi che accadono oltre i nostri vetri sono reali. Tutto smorzato assieme al freddo da un vetrocamera antisfondamento che permette di guardar fuori distrattamente, al caldo di un sé desideroso d’essere.
Nel fiume una cosa tondeggiante appare e scompare a pelo d’acqua, segue il flusso della corrente. Senza fretta, nel tempo giusto, potrebbe essere un tronco, un animale, qualsiasi cosa simbolo di tutti i gettati. Quelli che si sono consumati nei delta, senza neppure giungere al mare. Quelli che sono scomparsi al largo, fratelli di quelli giunti a riva. Quelli che neppure sapevano il perché di tanto accanimento e quelli che l’hanno intuito con angoscia così forte da desiderare la morte. La cosa continua il suo corso, s’è affidata a chi poteva accoglierla. Non ci sono braccia amiche, neppure il numero impressiona più di tanto. Cos’è un numero? Qualcosa che si può superare con un piccolo sforzo. Ma lei a qualcuno è stata cara, qualcuno che non si consola nel numero, qualcuno che ricorda ciò che era vivo, sembiante, emozione, consuetudine, parola, silenzio, risata, tristezza e scoppio di voce.
Josif aveva il suo violino, i suoi cavalli, l’orso che faceva ridere di paura i bambini, ma di lui non c’è memoria. Neppure di Maria, lesbica orgogliosa c’è memoria, ma anche di Franz la memoria s’è persa assieme al suo compagno. Quanti erano, forse solo qualche milione in tutto, accumunati nell’oblio. Tutti nel fiume prima della foce, tutti senza l’orrore d’essere vivi. Alla fine è bastato poco, ma prima che fatica.
Alcuni hanno più storia, non memoria, erano in tanti, non bastò, ma contavano abbastanza. Fossero ebrei od armeni di loro è rimasta traccia senza dolore. Ovvero per chi li conosceva il dolore non s’è mai spento, ma per gli altri è bastato pensare che la follia può far questo ed altro. Solo la follia, non gli uomini.
Il musicista polacco che andò con moglie e figlio a Terezin prima di finire la sua vita ad Auschwitz scrisse un canto gioioso per il suo bambino, ci è rimasto solo questo, non il figlio o la madre. Della scrittrice già famosa, sono rimaste le pagine di un romanzo incompiuto. Dei molti ricchi, i conti seppelliti nelle banche svizzere. Dei proprietari delle barche ormeggiate nei laghi, il nome sulla prua ma del fiuto del vento nulla è rimasto. Anche loro perduti nel fiume, eppure fortunati d’una anagrafe, d’ un nome che li ha gettati sulla riva. Degli altri neppure questo.
E’ la cultura che fa la differenza, quella che uccide i despoti, conservandone l’atrocità. E’ la cultura che conserva le memorie distratte che ora non suscitano emozione. Senza Paolo Diacono dei Longobardi resterebbe il ricordo d’una vittoria dei Franchi, senza la cultura il numero sarebbe già sparito nei gorghi del fiume. Come è accaduto ed accade, per i rom ed i sinti, per il Darfour o per il Congo, per i Cambogiani con i khmer o i cinesi durante l’occupazione giapponese, per le vittime di Stalin o per i massacri in Bosnia, per i Libici e gli Abissini poco felici d’aver conosciuto gli italiani brava gente o per gli indios dell’america latina che degli spagnoli o i portoghesi hanno potuto apprezzare la ferocia. E quanti ancora senza la traccia della cultura a rivendicarne l’esistenza?
Abbiamo perso la memoria di noi stessi, ci accontentiamo di tracce e simulacri, guardando il grigio tutto è relativo, per ricordare abbiamo bisogno di una giornata per la memoria, che non ci cambia, non ci interpella, non ci aiuta a capire chi siamo, domani si può tornare a dimenticare.
Anche per le nostre vite è così, prive di un giorno all’anno che ci ricordi davvero noi stessi, che si appoggi su un ricordo che ci cambia, che ci faccia trattare una comunicazione dove non esista solo l’io di qui, subito, adesso, ma quello che vorremmo gettare in avanti, farlo vivere e volare, quello che ha un passato e vuole avere un futuro da ricordare.
wildestwoman scrive:
28 gennaio 2011 alle 2:34 pm (Modifica)
io sono per l’io, qui, subito, adesso
domani potrei non esserci più
domani è un altro giorno
la memoria è un fardello pesante
io non ne ho, non di quella inutile
mi ancorano sentimenti, passioni, sensazioni
di questo mi nutro e ho bisogno
le persone che li incarnano restano se sono autentiche
come lo è lo spirito che me le fa sentire prossime
altrimenti finiscono nell’indistinto incompiuto inconsistente passato
questione di sopravvivenza…
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Bianca 2007 scrive:
28 gennaio 2011 alle 3:00 pm (Modifica)
VIVERE”
CONTINUARE A METTERE VITA AGLI ANNI E NON ANNI ALLA VITA è NON AVERE MEMORIA, MA “MEMORIA” PER TRATTENETRE CIO’ CHE SERVE PER NON COMMETTER GLI ERRORI NOSTRI E DI CHI CI HA PRECEDUTO.Difficile?…Forse Resta pur sempre aperto l’imperioso “VIVERE VERAMENTE VUOI O VUOI FAR FINTA”? Bianca 2007
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Verissima, intensa e triste riflessione, Roberto!
Ma nutro la speranza che si avverino le tue ultime parole:
“che ci faccia trattare una comunicazione dove non esista solo l’io di qui, subito, adesso, ma quello che vorremmo gettare in avanti, farlo vivere e volare, quello che ha un passato e vuole avere un futuro da ricordare.”
I miei complimenti!
Buon fine settimana, ciao
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bastassero le parole Ondina… il primo posto in cui applicarle siamo noi stessi
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Certo che sì, Roberto: prima di tutto dobbiamo applicarle a noi…
Ma già un piccolo, piccolissimo passo avanti è avere la consapevolezza di tutto ciò che hai scritto.
E non è mica poco, anche se si può fare mooolto ma mooolto di più.
Buona domenica, ciao
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