Viene un tempo in cui le parole non bastano, e neppure gli aggettivi c’ assomigliano. Da qualche parte si trova un silenzio impronunciabile, qualche nuovo moto dello sguardo appare, assieme a gesti che rivelano il consumo del tempo. E’ il tempo di sedere, respirare piano, sorseggiare un caffé che sia il riassunto del vissuto, la perifrasi del presente. Non il futuro. Per quello viene da piegare il ferro nella testa, prima che con le mani, come un fabbro d’altri tempi, così da confondere sui palmi ruggine e tagli.
Le lacrime che lavano, rigano e lavano, si mescolano ai sorrisi nel tempo ch’è fatica di capire, ma non da vivere. E non sempre esiste una parola, un vaso in cui mettere noi, ciò che siamo, sentiamo, vogliamo. Ovvero quella parola esiste e ci percorre dentro e non ha vocali e consonanti che bastino al bisogno, per cui frulla nella testa, si posa da qualche parte e resta. Oh si che resta.