… la meraviglia l’aveva colto da bambino, quando capì che c’era dentro di sè un incessante macchinare, scomporre, trasformare di cui non conosceva i motivi, ma che avveniva comunque e lo faceva star bene o male. Erano tempi in cui una magnesia San Pellegrino, serviva a ricollocare la felicità di essere al giusto posto, cioè nel quotidiano fatto di corse, sudore, sonni che si gettavano nel mattino inoltrato senza pudore di doveri. Man mano cresceva, capiva che entravano cose e ne uscivano altre ed che entrambe le cose procuravano soddisfazioni profonde. La meraviglia di possedere una macchina, tutto sommato silente e docile, ma soprattutto autonoma e flessibile, gli dava sicurezze, anche se tutto questo lo capiva in modo empirico. Infatti bastava coccolarla il giusto, eccedendo e lenendo in un equilibrio di soddisfazione e regola e tutto avrebbe funzionato all’infinito. E l’infinito, già allora, coincideva con noi, finiva con noi e volava con noi in un orizzonte, ogni mattina, ricco di possibilità. …
Di questa consapevolezza anche da adulto avrebbe conservato memoria, sapendo che per star bene bastava governarsi, regolare i flussi ovunque presenti nella vita, ma che con facilità tutto questo sarebbe stato rimandato all’indomani.