uscire e cambiare la propria vita

L’uscire dalla propria vita, sentita come inadeguata, come unica soluzione alla crisi d’essere. E’ un flow di una semplicità disarmante: il disagio crescente, l’attacco della crisi, l’insofferenza del presente e la ricerca di soluzioni alternative, la if del cambiamento: se si prosegue ci sarà la rottura con il passato, se ci si ripensa si torna daccapo per ripercorrere il ciclo.

Uscire e cambiare la propria vita, perchè, da chi, come? E’ l’esperienza di tutti, comincia nella famiglia d’origine e accade più volte nella vita e ha sempre lo stesso stimolo: andar via, cambiare radicalmente, essere diversi dal presente sentito come prigione.  Chi se ne va davvero, non solo nella testa che pure è  un modo radicale nell’andarsene, sperimenta la difficoltà dell’abbandonare le certezze, del misurarsi con l’ignoto. Un ignoto che inizia proprio da se, dalla propria capacità di percezione dei problemi e della realtà. Andarsene significherà poi capire meglio, misurare ciò che si vuole davvero, fare i conti con la nostalgia, con gli affetti che non si annullano, con i vincoli economici, con la violenza dei distacchi. Per questo spesso sono necessari altri appoggi, ed è la parte più difficile da valutare, perchè condiziona altre persone, altre volontà presunte. Indipendententemente dagli esiti, l’uscire farà i conti con la propria vita e la scelta in quella if  rende palese ciò che è già avvenuto: il cambiamento, ovvero la rottura del proprio paradigma. Sarebbe bello che tutte vite avessero parabole già definite, dove tutto procede per conseguenzialità, ma non è così per la maggior parte di noi. E forse non sarebbe neppure bello.

L’andare, il vedersi da fuori, senza giudizio.  Restare fedeli a se  stessi, cercare di capire e poi scegliere il proprio posto transitorio, sapendo che proprio noi lo metteremo in discussione finchè ci sarà la presunzione del poter cambiare.

 


7 pensieri su “uscire e cambiare la propria vita

  1. lo penso anch’io Roberto che non sarebbe bello. E quelli che mi raccontano la voglia di quiete e di tranquillità senza scosse penso stiano raccontando la stanchezza del momento

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  2. la parabola definita sarebbe rassicurante…ma in fondo, così è. anche quando siamo stati corretti, abbiamo amato, abbiamo dato, abbiamo fatto, abbiamo lavorato, se finisce male e guardiamo indietro con attenzione ci accorgiamo che qualche errore di fondo c’era: non avevamo valutato bene il carattere della persona che amavamo, o la scelta lavorativa aveva dei problemi ben visibili, e così via. quindi la parabola è definita: errore di valutazione – impegno rivolto male – fine dell’esperienza, o fallimento della medesima.
    io comunque se è necessario cambio senza problemi, non ho paura delle difficoltà e delle cose nuove da affrontare, l’ho fatto molte volte, anche senza alcun supporto esterno, senza rimpiangere nulla…meglio un ignoto che ha delle possibilità che un’angoscia quotidiana e certezze negative.

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  3. VELOCE,
    Personalmente ho sempre avuto paura di un quotidiano che si trasformasse in ordinario diventasse abitudine vuota di signoificativi dolci teneri forti riconoscimenti di sè e dell’altro insieme.Ma ho sempre desiderato la PACE la SERENITA’ che una profonda FIDUCIA cresciuta nell’Amore per se e per l’altro riportasse anuove abitudini ricche del senso di entrambi che scambiano parola sorriso o in silenzio si abbracciano forte.
    Scusa la riduttività che spero almeno ne abbia dato la chiarezza.Bianca 2007

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  4. “anatomia dell’irrequietezza”
    così si intitola un libro di Chatwin che non ho mai preso a leggere ma che mi affascina già solo dal titolo…sarà perché dò all’irrequietezza un valore di condizione imprescindibile per rimanere vivi, in tutte le nostre parti, e lascio alla sua descrizione anatomica (un tentativo e non altro la descrizione: non altro perché se descrivi l’irrequietezza in modo compiuto già non è più irrequietezza) l’unica possibilità che ci è data di convivere con l’irrequietezza stessa?
    Passiamo la vita a cercare di spiegare l’irrequietezza che poi chiamiamo con vari nomi:
    insoddisfazione
    ricerca
    cambiamento
    ecc. ecc.
    Ci mangia a volte il cuore l’irrequietezza ma è l’unica forma di giovinezza che non conosce limiti anagrafici.
    Teniamocela, magari buttiamole addosso un rimprovero ogni tanto, un ordine a contenere la sua vivacità ma non di più:
    l’irrequieta irrequietezza è il battito stesso della vita.
    Un abbraccio da un’irrequieta a vita.

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  5. Andare e avere un posto dove tornare, te lo consiglio Tereza l’anatomia dell’irrequietezza, perchè Chatwin scrive bene del non essere soddisfatti di un posto, del non giocare tutta la vita a mamma casetta. Abbraccio irrequietamente ricambiato 🙂

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