I sogni cambiano lentamente, quelli importanti almeno. Gaber dice quasi tutto d’una stagione che metteva i nomi alle cose. Essere di sinistra era poco, comunista era tutto, era un modo per dare concretezza alle speranze, la soluzione per il male che non era morto con la guerra. Era una questione di giustizia, di crescita, eravamo differenti ma tutti assieme. Anche gli altri avrebbero capito. Chi era riflessivo si faceva domande, trovava ragioni. Cos’era la libertà allora? Oggi per molti è libertà di parola, altri la fanno coincidere con una caricatura della democrazia, ma la libertà allora, e anche adesso per me, era poter crescere in un mondo in cui ci fosse posto per tutti, con diritti e opportunità eguali. Per le ragioni strane che albergano nella testa degli individui (bisogna pur distinguersi dai cervelli collettivi), gli avversari avevano dignità di battersi, a nessuno sarebbe mai passato per la testa di non riconoscere l’avversario. Non voglio ingentilire le nefandezze, ma scelta la parte in cui stare si procedeva di conseguenza. Ed era raro cambiare idea, qualche fascista o democristiano passava a sinistra, ma era per seguire quello che già prima aveva in testa: dare un nome ai bisogni di giustizia, ad una speranza che si poteva realizzare. Chi se ne andava, nei socialisti o nell’extra sinistra, era fuori della casa madre e per i primi si scuoteva il capo dicendo: era un opportunista, per gli altri, che non capivano, che non bisognava affrettare i tempi, ma avremmo vinto, bastava aspettare e lavorare.
Chissà che vuol dire ora essere così? Per chi ha vissuto in quegli anni, dopo la delusione, i fraintendimenti chiariti con dolore, il riconoscimento che non era quella la strada. Dopo tutto questo è rimasta la pulsione originaria, che insieme si può fare, che il mondo può cambiare, che l’ingiustizia non può averla vinta. Mancano idee solide ora, qualcosa che infiammi i cuori e faccia pensare i cervelli, il sentirsi parte di un disegno più grande con la propria individualità.
Mancano, e chissà con che nome arriveranno.
Non lo so, Willy.
Da ragazzina schizofrenicamente divisa fra MSI e Partito Radicale (non chiedermi come ciò potesse essere, poichè era), mi sono avvicinata alle idee liberali, tra l’altro parenti strette di quelle radicali, e “hic manebimus optime”, fermo restando il fatto che il liberalismo del quale parlo non lo vedo nemmeno col binocolo. Cioè ci sarebbe, ma è muto.
DEi comunisti non so dire. Ho un carissimo amico di Sinistra Democratica: che il futuro (vostro) sia quello?
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IL “COMUNISTA”
contemporaneo non si perde in ciance,lamentazioni,volgarità o borbottii stizzosi e da sclera.FA CON PASSIONE CIVILE MA RICORDA.Nella consapevolezza d’essere un gradino che lui ha costruito con autentica fatica e coraggio per lasciarlo a chi verrà pur mettendo in conto la derisione per ogni errore fatto.Incurante di ciò.Credendo al sogno che lo animava per spartire pane (e magari con un pò di companatico),pace (senza mai aver smesso di lottare per raggiungerla),rigore sempre nell’esercizio della propria cosienza,pietà per i nemici sapendo che lo saranno sempre.Ma…di VERITA’amata, sofferta,lottata e sempre col sorriso,ricordo solo quella di mia Madre,di E.Berlnguer e,forse,di qualcUN altro! Bianca 2007
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C’è un libro molto bello, di Morselli, che ha lo stesso titolo del post ed è uno specchio di quegli anni. Descrive passioni, domande, difficoltà, vincoli, passando dal personale al politico quando questo non era ancora associato e c’era un primato della causa. Lo cito perchè la riflessione che mi hai suscitato Tibì è legata al vivere le cose, credo che questa profonda unione tra ciò che si pensava del mondo, dell’italia e la propria vita quotidiana fosse una caratteristica di quegli anni ormai passati. Mi pare che fosse più difficile stare a sinistra, essere comunisti che fascisti, ma magari mi sbaglio. Certo dal punto di vista del lavoro i problemi non mancavano. Credo anche che un grande sforzo sia stato fatto dal punto di vista degli strumenti per capire la realtà, era uno sforzo di parte, ma le analisi erano profonde. Non penso solo a Gramsci, ma all’antropologia culturale e a De Martino, alla letteratura e al cinema, alla pittura e alla musica. Dirai che era più facile essere intellettuali di sinistra che di destra, ma a parte la presunta apoliticità dei chierici e il loro essere dalla parte dei vincitori perchè l’arte supera gli interessi, in quel momento non era davvero così semplice essere in minoranza e comunque il P.C.I. non scherzava. Basti ricordare Vittorini per tutti i molti che rivendicavano la libertà dell’artista. C’è un modo di pensare che mi prende molto ed è l’evoluzione del socialismo liberale di Gobetti in Giustizia e Libertà,la trovo molto vicina al momento attuale e soprattutto libera da gabbie. Mi sembra d’eesere fuori dal mondo quando parlo di queste cose, ma questo è il mio mondo, sono io e perchè dovrei rinunciarci?
Conosco la tua sensibilità Bianca, ho letto di tua mamma, sono quelle le storie che adesso mancano molto. Grazie.
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