senza rimpianti

La mia famiglia paterna ha disperso cose e persone per l’europa. Ogni parente che si installava in casa per settimane, faceva riemergere persone e pezzi di passato, ma non c’era più niente di tangibile. Di case, ricordi, lavori: era rimasta solo una cultura orale di città, fatta nella lingua madre, il veneto.  Una guerra aveva spazzato via la casa natale di mio padre in germania, quella successiva aveva raso al suolo, la casa dei miei genitori. E ciò che non era stato distrutto era stato sottratto, ma non ho mai sentito un rimpianto, che non riguardasse le persone. Come se questo essere sballottati dall’una all’altra parte, l’aver mutato condizione, fosse stato parte della vita. Anche i racconti, sempre pudichi e frammentari, parlavano di abilità, di pericoli scampati, di occasioni rifiutate, mai di proprietà. Tanto che gli ultimi resti di queste, sono transitati, con indolenza, al patrimonio dello stato. In questo clima gli oggetti sciamavano in un pulviscolo indistinto, con fotografie rare e ingiallite. E le mie domande additate, cos’è questo, dov’è ora? ricevevano risposte vaghe, indifferenti. Le soffitte dei traslochi inghiottivano mobili, le stufe facevano il resto, senza rimpianti.

Nulla era importante se non le vite vissute con la forza dell’essere.