gelosie

Non mi risponde, era un commento intelligente e non l’ha notato.

Disattento!

Non mi mette tra i preferiti, anche se io l’ho fatto subito.

Insensibile!

Gli ho scritto una mail, ma non mi risponde.

Maleducato!

Oggi lo sbircio solo, giuro che non commento. Solo un poco…

Antipatico!

Ha risposto, mi ha citato.

Bravo.

Non ha capito, eppure basterebbe poco.

Stupido.

Non viene mai da me, non commenta. Chissà chi si crede di essere.

Stronzo!

Ho riletto alcune cose sue vecchie: com’è cambiato.

Vanesio.

Non mi piace come scrive, ovvero mi piace però non sempre lo capisco. A volte è bravo, secondo me se la tira.

Presuntuoso.

tacco 6 o tacco 8

 7.30, mattina, gessatino, attillato, non troppo serio, oggi look timida aggressiva.

Tacco 6 o tacco 8?

Agenda, niente ufficio, solo clienti esterni.

Tacco 6 o tacco 8?

Cosa mi ha detto? “non c’è problema, nema problema”

Scemo.

Agenda: settimana piena, mese pieno: sarà così fino ad agosto. Poi mare. Quest’anno non mi piace.

“La vestizione del guerriero”, così l’ha chiamata mentre mi rivestivo.

Scemo.

Che si può fare in pausa pranzo. E’ stupido, non capisce.

Oscillo tra il pensiero di lui e di me. Compasso, centro su me, qual’è il raggio?

Non mi piace ” mammina inquieta”: non ascolta, sente solo la superficie.

Banale.

Chissà se ha fatto insiemistica, se riesce a capire che noi due siamo A e B e siamo sovrapposti: AUB.

Quanto sovrapposti?

Tacco 6 o tacco 8?

Ci provano sempre, anche se hai il tacco basso. Ci provano insinuanti, sfrontati, imbecilli, carini. Mai quelli che vorresti.

Tacco 6 o tacco 8?

Aspetto che chiami lui, resisto. Non scrive. E’ così…

Scemo.

Non mi piaceva, quando l’ho conosciuto, sembrava distratto, felice. Chissà perchè poi sono cambiata. Perchè non era felice. Mesi di appuntamenti, sogni, nomignoli, parole. Parole e basta. Letto, sintonia. Mi piace come mangia piano, come ride. Chissà se chiama. Mi basterebbe… no, non mi basterebbe.

Scemo.

Ci siamo lasciati subito, appena dopo la prima volta. Paure sue e mie. Poi insieme perchè non bastava e di nuovo lasciati, spesso. “Un amore a termine”  così l’ha definito. Quand’è questo termine che me lo trovavo dappertutto. Perchè non termina adesso ? Ieri ho girato per passare vicino a casa sua, ho guardato le finestre, il campanello. Volevo chiamarlo per dirgli ” E adesso che faccio: mi hai lasciato tempo per pensare, voglia di essere amata, pennellate di grigio da distribuire nella giornata. Sei scemo se mi lasci andare “

Devo andare, devo andare, devo…

Tacco 6, è lunga la giornata.

minnie

Da ieri provo un senso di assenza: ho scoperto che Minnie ha deciso di chiudere il blog.

Che significa scrivere in rete e quali legami si creano tra noi che ci leggiamo?

Non ci conosciamo direttamente, ma la rete che si è creata tra persone che condividono pezzi di vita, non è banale. Di certo c’è un mio grande arricchimento nelle vite affini che sono arrivato a conoscere.

In questa amistà, Minnie è particolare per la sua concretezza unita alla capacità di sognare: se andasse per mare le farei prendere il timone della barca.

Minnie non è di quelli che chiudono il blog e lo riaprono come fosse la porta di un bar. Sarà per questo che mi manca non leggerla: speriamo ci ripensi.

invictus

Nella notte che mi avvolge,

Nera come voragine infinita,

Ringrazio ogni divinità vi sia

Per la mia anima invincibile.

Stretto nella morsa della circostanza

Non ho battuto ciglio o pianto ad alta voce.

Sotto le mazzate del fato

La mia testa sanguina ma non si piega

Oltre questo luogo di odio e lacrime

Incombe solo l’orrore dell’ombra

Eppure la minaccia futura

Mi trova, e mi troverà, senza paura.

Non importa quanto angusto è il passaggio

o quanto pesante la sentenza

Sono il padrone del mio destino:

Sono il capitano della mia anima.

(William Ernest Henley)

Dedicato a Minnie, d., Camilla e a tutti quelli, donne o uomini, che in questi giorni, si prendono per mano e si conducono, affrontando impavidi la paura.

maestri?

Ho incontrato maestri d’immagini, persone con parole al guinzaglio pronte a scatenarle per tenerezza o per minaccia. Ho visto pennellate sovrapposte senza la lucentezza della lacca, confuse di significato come cibi troppo ricchi. Ho ascoltato musiche asimmetriche che parlavano allo spettatore alle mie spalle. E tutto questo mi è stato detto essere complessità e ricchezza. Credo che la semplicità sia camminare sulla linea centrale della strada, come gli ebbri che dimostrano qualcosa. Ma non c’è alternativa, la semplicità è pericolosa

l’era del cretino

Il cretino è in auge. Ricercato, pagato adeguatamente per raccontare il vuoto (e chi è più sublime del narratore del nulla), spopola nella scena mediatica. I grandifratelli, le isole, i talk tappeto sono i contenitori primari del cocktail mediatico studiato per abbassare il tono, troppo intelligente, della mediocre scena televisiva. Cocktail e quindi non tutti cretini, ma q.b. per il mix da ascolto, senza eccedere in grado alcolico. Non è una congiura, è una operazione di marketing: se si abbassa il livello generale, anche gli altri programmi svettano. Ma il cretino non si limita e non va in ferie: esonda in altri siti. Ospite dei talk show, ne alza il tono, li riconduce al popolar sentire, toglie gli orpelli dell’ attenzione critica dallo specifico e li riporta al generico. Il cretino è ricercato in analisi politica come portatore di autentici valori popolari, interprete di riferimento della filosofia del banale quotidiano. E’ osannato, conteso, valutato adeguatamente nella carenza di un mercato che lesina i cretini intelligenti. Che sono poi, quelli da scena, con spirito idoneo, senso della comunicazione e che non divagano mettendo in difficoltà il conduttore: il cretino di rango non è eversivo e sa stare al suo posto. Questa non è una critica, è solo la meraviglia, invidiosa, per chi ha inventato il cretino pret a porter. Questo sommo creatore di ruoli, è un intelligente che ha compreso la funzione sociale del cretino e ne ha vista la complementarietà nel proliferare di intelligenza a basso costo. Perchè il cretino consente l’intelligenza del banale, si fa capire subito e rende felice l’interlocutore E’ un generatore di pensiero positivo, provoca il: “finalmente una persona di successo alla portata di tutti, anch’io, che sono migliore, posso arrivare.” Il cretino sostiene l’autostima, aumenta il Q.I. degli altri senza far venire pensieri forforosi. Probabilmente fa anche crescere i capelli, ma si attendono conferme dalla ricerca biomedica svizzera. Il cretino comunque, è compreso nel welfare: si usa e non si paga il ticket, solo l’abbonamento. Se una trasmissione, un dibattito, un talk, è priva del cretino, diventa noiosa, non cattura l’attenzione dello share. Perchè, l’intelligente ama l’imprevedibilità del cretino: e non riuscendo a pensare in quel modo, ne è affascinato, si attende qualcosa che ha a che fare con il pensiero trasversale e che lo sorprenderà. E come sottovalutare che il cretino consente la lamentela sullo stato dell’intelligenza del paese, senza dover parlare sempre di ricerca scientifica, di precari nella scuola e nella sanità che sono temi astrusi e conformisti. La critica, quando si esercita sul cretino, è condivisa senza retrogusto acidoso duodenale, da cui la tesi che il cretino, è un farmaco anti ulcera. Il cretino stimola l’acume e l’intuizione: bisogna individuarlo nel mucchio e la sua ricerca è un esercizio che esercita l’intelligenza, tanto che il cretino incontrovertibile viene sbandierato agli amici: quello giusto non ammette replica o distinzione di valore. Uno sport non ancora olimpico e che può essere esercitato in famiglia, nel web, al bar, in ufficio, provare per credere. Quelli che, invece, non mi vanno a genio sono i cretini finti, quelli che si atteggiano: hanno una patina di eccesso, sono sopra le righe e smottano nel banale artificioso. Da gourmet, preferisco il cretino spontaneo; quello che non mi fa imprecare e chiudere il televisore, distruggere il giornale, uscire dal cinema anzitempo. E’ la vestale del media: mi consente di scegliere e di dormire sereno. Domani ci sarà altro, ma non sarà peggiore.

Ernesto

In questi giorni si ricorda poco Che Guevara: solo un’ icona ormai. Su di lui si è stemperata la passione sollevata: non ci sono rivoluzioni romantiche in giro e non mi sorprende che la sinistra non lo abbia tenuto stretto come suo eroe positivo. Troppo imbarazzante, troppo radicale, anche nei contrasti tra iconografia e vita vissuta, tutto troppo. Come Berlinguer, al massimo si può mettere sull’altarino, ma non considerarlo esempio attuale dell’agire. Non voglio fare paralleli, ma un carattere mi colpisce in entrambi: la coincidenza tra diversità e identità . La sinistra è diversa, l’agire di sinistra è diverso, è l’ethos che la distingue dalla destra. Basterebbe questo per attualizzarli, questi grandi, in un’epoca di relativismo politico e sociale, di eguali al ribasso. E’ apparentemente strano che persone che perseguono l’eguaglianza, sottolineino la diversità tra uomini che agiscono sulla base di idee diverse. Ma sono le idee a differenziare le persone, a motivarne i comportamenti, a rendere lecito ciò che è illecito. L’idea di eguaglianza passa attraverso l’affrancamento e la libertà dei popoli. Uno zoccolo duro di diritti comuni. Il socialismo applicato dovrebbe appoggiarsi solo su questa base di eguaglianza per poi lasciare che le opportunità diano frutto ai singoli. Il Che non ha avuto modo di vedere che la speranza era poi difficile da trasformare in atti quotidiani e felicità condivisa. Ernesto non ha resistito alla costrizione del governare, per questo  l’Africa e infine la Bolivia. Sempre inseguendo un sogno. E a me piace pensarlo così, che insegue un sogno aquilone e cade con gli occhi aperti mentre il suo sogno continua a volare.

bambole

Bambole rotte nel buio che si rianimano ad ogni ingresso. Trucchi approssimati, dialoghi multilingua: nò, non bevo, dove stai, perchè sei qua? Siamo tutti belli al buio. Il sudore trabocca nell’aria mentre manca il rumore e la risata del bar: tutto sommesso e complice. L’aria è azzurra di fumo. Ho voglia di leggere, di stare per conto mio: sono stanco, abbandono la compagnia. “Vi lascio gli altri, i disponibili.” Mi pare tutto così unto di umanità disperata.  Quando mi alzo, vengo inseguito in strada, poi la disperazione urla un “impotente” al guadagno possibile che svanisce. Vite rotte che presumo, ma non conosco. La disperazione chiede la carità anche attraverso il corpo, ma è davvero diverso dai nostri amori mendicanti?

profugo?

Ieri finchè parcheggiavo, un signore ha cominciato ad aiutarmi: giri a destra, tutto a sinistra. Io lo guardavo, divertito dal suo composto sbracciarsi, aveva eleganza, educazione, poteva essere un possidente decaduto con la sua giacca principe di galles fuori moda. La macchina continuava ad avvertire le imminenti collisioni e lui mi orientava: “un pò avanti, ancora, basta”. Quando sono sceso ero in imbarazzo, quanto valeva quella prestazione, offrire 2 euro era troppo poco, per un conte colpito dalla sorte avversa. Allora ho deciso una forma mista di remunerazione e gli ho chiesto se prendeva un caffè. Al bar mi ha raccontato di sè, nato in slovacchia, studi in germania dell’est, profugo prima, riprofugo poi, quando non trovava lavoro. La richiesta di rientrare nella proprietà di famiglia in slovacchia nel ’96, la rinuncia a fronte delle spese per avere una villa persa in mezzo ad un parco pubblico. Poi l’Italia e la precarietà assoluta di un alloggio presso parenti troppo lontani. Usciva la mattina e rientrava a notte, si ingegnava in prestazioni che dessero un senso alla carità. Ha usato proprio questa parola. Gli ho offerto una brioche, ha rifiutato perchè erano congelate. Mentre sorridevo, anche lui ha sorriso dicendomi: a 70 anni conosco quattro lingue, ho una laurea e un passato per me importante. Sono povero, ma non disperato,vuole che non possa scegliere la qualità della mia vita? Ci siamo salutati, ha rifiutato i  cinque euro e mi ha detto: torni a trovarmi. Mi sono sentito un ospite del mondo e suo.