meriggio

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Attraverso le rigorose geometrie di Bach, troverò l’ordine mio (pensai)  e sorprendente emerse qualche pace nitida,

non la volontà che ordina il suo tempo.

Basterà alternare, in giusta misura, veglie e sonno (pensai), e il governo delle cose (e il tempo) diventeranno un gioco, 

non m’accorsi d’annegare in oceani d’ordinata noia.

Pensavo, allora, che l’afrore dei pomeriggi estivi possedesse una sua virtù sensuale ,

e dopo, ascoltavo la pelle, gli odori, la luce e la sua polvere danzante,

finché stanco mi perdevo (allora), pensando che tra le trame dei tessuti e dei tappeti ci fosse (seppur poca) l’anima del paziente tessitore

e leggerne traccia, volevo, tra pensieri di velluto,

per questo (pensavo) mi piace il filo rude, l’incerto nodo, il geometrico abbandonato errore.

Quando la solitudine ebbe il suo posto, capii che a perdersi d’infinito, era l’anima mia,

ed essa filtrando tra le trame, cercava un’ ardua sua compagna.

Così, nel meriggio, guardando oltre le rade tende ( pensavo), ch’è trama, crivello per i miei occhi,

m’accorsi allora dei profili muti, che vivono dello splendore d’ombra.

Cieco e sciocco (mi dissi) guardare il gesto del sole e non com’esso schiacci d’imperiosa forza, volumi e cose,

e insegna, la luce, (pensavo) nei misteri della sua assenza, più d’ogni imposta geometria dell’anima. 

Haiku:

di tanto ordine che m’occlude la vista,

l’anima mia solitaria, cerca,

dipanando trame di caos