E’ bella la voce recitante: parla del cavaliere folle, ricama i silenzi dei suoni e delle percussioni. In questo dire in musica e parola, chissà chi è l’intermezzo. Il cavaliere è ammorbato dal suo passato, i sogni gli tolgono la realtà, l’amore è messo nelle mani sbagliate. Si alza il suonatore di tamburo e racconta della risibile lotta che ammacca il corpo del cavaliere, ma anche dell’accoglienza in Barcellona. Lui, l’ultimo dei puri, trastullo di dame, ha l’unica risorsa della pazzia che porta lo spirito oltre la fortuna. Sono la vinhuela, il cimbalo, il cello e la viola da gamba a confortare il cavaliere. A che gli servono gli uomini se non a dire la sua impresa, il cavaliere è per sua natura, solo. Non c’è sorriso per il cavalier dalla triste figura, anche se serve ed è servito. La musica lenisce e la parola scava fino a dire che per l’uomo la ragione è la sua sconfitta, e ciò che annienta il sogno provoca il malstare. Il cavaliere rinsavito, ripone le armi, brucia il suo passato e diviene un vecchio consegnato all’ affetto senza fantasia: troppo poco per colui che compì entro sè grandi imprese. Così nelle tre note finali sogno, allegria e gloria si confondono, e allora penso che rinasca di continuo tra di noi, e che sia pronto ad una meravigliosa impresa da dividere con i tanti Sancho disposti a sognare.
Il concerto di Jordi Savall è stato tenuto a Ferrara il 10 marzo