gherigli d’antan

Disperdo tracce profonde di me tra parole distratte, seguendo la teoria della noce: con delicatezza rompere il guscio,  per avere il frutto pieno e non lasciarsi prendere dalla fretta luminosa degli aggettivi. Gli aggettivi sono superficie, spesso neppure pelle o scorza. Mascherano assieme alle iperboli, eppure a leggere con attenzione, sono rivelatori, come i simboli aspersi. In uno specchio si guarda oltre l’apparenza, per avere il pensiero dell’immagine. Spesso la presunzione d’essere capito prescinde dallo sforzo della semplificazione, come se mostrando segni della propria traccia interiore, altri possano seguire. Ma non è così, non scrivo una guida alpina: allo sperone prendere a ds. trecento mt. impervi, attenzione al canalone, roccia marcia e franosa, sulla sn. tratti attrezzati… e poi per facili roccette si arriva alla cima. Dissemino tracce, non traccio sentieri, mostro e nascondo, curioso d’essere svelato. In fondo non è questo il gioco sottile della comunicazione profonda: intuizione, lettura attenta, leggerezza apparente, scambio, fascino e curiosità. Funziona a tratti e su questo albero, semplicemente aspetto che la primavera mi faccia agitare: qui è tutto appeso ad un filo, dipende. Mia nonna mi insegnava ad aprire le noci e pelare i gherigli e il frutto era arduo e dolce, non frettoloso. Da Lei ho imparato a non essere d’altri. Qualche volta me ne sono scordato.