esercizi di chiarificazione

Per incomprensione o peggio, invidia, nessuno ti dirà mai che hai vissuto appieno. Chi ti ama lo sente, assieme alla tua ricerca, alla scontentezza che t’accompagna, alla felicità improvvisa che ti coglie, a ciò che, incongruo, ti commuove. In fondo le felicità sono davvero tutte uguali, anche le tue e la diversità è nella scontentezza. Ci sono scontentezze banali e scontentezze vitali. Quanto spinge innanzi la insoddisfazione di ciò che si è?  Nel tuo ritratto segreto c’è l’ ergersi umile del restare sottotraccia eppure esserci. Quanto hai mostrato agli altri che davvero ti facesse il ritratto e quanto invece hai serbato ? Nessuno più di te, cameriere di te stesso, conosce il limite, la debolezza e la forza insensata che nascondi, tutto sta dietro ad una porta accuratamente serrata. Solo la pazienza di chi ti vuole bene, segue le vie tortuose del tuo cervello, magari se ne innamora, ma tu non sei innamorato di te, combatti una battaglia per non lasciarti prendere, neppure da te stesso. In questo hai fatto, scelto, seppellito le fughe dell’astenersi per stanchezza, tutto tritato nel positivo del tuo passato. Che è tuo, solo tuo, mai d’altri.

Nessuno ti dirà che hai vissuto appieno, tu lo sai nell’insoddisfazione che t’accompagna, nel tempo che hai gettato e in quello che hai donato, è una cosa tua vivere e riconoscerti. La pienezza del vivere non è nella quantità di cose fatte e neppure nella raccolta di esperienze avute, non per te, la pienezza è nel riconoscere la propria vita, sapere che è davvero solo tua e che morirà con te, ma qualcosa intorno avrà pur modificato. Fosse solo la traccia nelle case che hai abitato, nelle persone che hai conosciuto, nelle cose che sono rimaste e che finiranno disperse, com’è giusto sia, perché quelle cose erano te e null’altri che te potevano legarle assieme di filo grosso, o di refe, come ami dire. Ti è capitato di entrare in appartamenti chiusi da tempo, di osservare gli scaffali, le cose ordinate nelle mensole. Non sapeva chi le ordinava che altri occhi avrebbero visto, oppure un messaggio era stato lasciato? Quando non si persegue la grandezza, ma solo il vedere, le cose diventano banali e minuscole per gli occhi disattenti. E’ stato così anche per i sentimenti, oppure ti sei esercitato nel dare più che nel ricevere? E l’ordine d’importanza che mettevi, è stato colto? Se pensi alla bellezza ne vieni ancora sopraffatto e quando la riconosci, distingui e dici senza ritegno, oppure la tua educazione t’impedisce di dire che ciò che è volgare resta volgare? Una volta discutesti a lungo sulla volgarità del desiderio esibito, e su quella ricchezza segreta che deve liberare la nudità per esporne il nitore. Discutesti perché tanto esibire, mettere in piazza, ti pareva pornografico, com’è tutto ciò che deve trovare una ragione di sé in ciò che ostenta. Discutesti, cancellando ancora un po’ del tuo ritratto, mettendo in sordina i tuoi strani pudori, perchè non era la nudità che ti colpiva.

Nella parzialità che hai sempre messo nel non lasciarti conquistare appieno, c’è, non il sospetto o il rifiuto, ma la difesa intransigente della differenza. E tanto più piccola essa si faceva, tanto più forte quella cifra diventava segreta. Ogni nostra funzione, quando diventa dipendenza ci oscura il mondo e lo fa vedere solo attraverso il desiderio, e lo piega, disperdendo la nostra forza. Questo ti pareva allora, quando sostenevi che è necessario conservare la pulsione come elemento forte di sé, come motore per essere d’altri quando lo si sceglie davvero. Senza compromessi come il falco che guarda dall’alto il mondo e sceglie ciò di cui cibarsi.