Guardavo i cavédani mangiare le barbe di pioppo sul pelo dell’acqua. Vedevo controluce il guizzo argento diventare dorato di sole e poi sparire un attimo, prima di tornare di nuovo. Senza fretta, in equilibrio di luce, d’aria e di voci con me che guardavo dai gradini sull’acqua. Tutto fuori dal tempo, solo esistere.
E pensavo fosse assoluto.
Assoluto che i pesci si cibassero di niente d’alberi e ragni d’acqua, che quello che mi veniva detto, in quelle aule vicine al fiume, fosse vero, che l’assoluto fosse ovunque. Sparso attorno a noi a piene mani con il ribollire del cambiamento. Assoluto e mutazione, assieme, senza contraddizione, perché tutto fluiva, si rivolgeva di pancia e poi nuovamente pinnava via.
Tutto possibile. Tutto a disposizione. Bastava allungare lo sguardo, la mano, il cuore e poi cogliere assieme il futuro.
