Capelli bianchi, i più. Per chi li ha ancora. Poi cappelli: alcuni inusuali, uno altoatesino in colore con il loden, altri a dire o a coprire. I baschi, le coppole, le lobbie grigie. Dalle nostre teste si leggono le storie, le professioni, le appartenenze. In alcuni casi il successo è arrivato e poi se n’è andato, è rimasta l’eccentricità a cui aggrapparsi per bisogno d’identità.
Borghesia liberal, spesso di sinistra, disincantata. Disponibile, ma fino ad un certo punto.
I capelli hanno seguito le storie, sono stati costretti. Si potevano cambiare, imbrillantare, lasciar lunghi e poi rasare, insomma, per la mia generazione i capelli sono stati il messaggio al mondo ancor prima di toccare i vestiti. Anche oggi nella cura del riporto, nella riga che trasloca, c’è la traccia di chi non rifiutò e convenne.
Ora tutte queste teste confluiscono e ci si guarda gossipando sulle storie attuali, le precedenti son note. Un taglio nuovo, un cappello blasè su giacca segnaletica: trasgressioni in corso. Qualche scuotimento di capo invidioso, tributo alla resa della propria incapacità di sognare.
Le parole sommate ai capelli rivelano le attese, una speranza tradita, un’ inguaribile sfarfallamento affettivo. Eppure molti sono in cattedra, insegnano oppure dirigono, sono, abbastanza, padroni del loro destino, ma qualcosa li ha fatti scegliere vie sbieche alla verità. Solo i loro capelli nella costrizione, continuano ad essere sinceri raccontando storie passate, sogni incompiuti, ribellioni quiete.