dialogo sulla comunicazione golosa

willy

le parole siamo noi, da come le usiamo mostriamo quanto, chi le riceve, sia importante per noi. E le parole hanno una superficie dura ed un contenuto succoso, pieno di significato, se chi le riceve, le accoglie allora sente che le sensazioni sono molto più intense.

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Però spesso io faccio fatica a tradurre con parole esatte quello che provo, la mia paura è che arrivi falsato quello che voglio dire…   falsato, cioè non corrispondente alla mia realtà, a quello che provo effettivamente  o che sia interpretato in modo sbagliato.

willy
Se ti fidi della persona con cui parli, lasciati andare, non farti troppi problemi, se non capisce ti chiederà. A volte si vuol dire dire e anche no, si chiede al nostro destinatario di capire oltre le parole. E’ un azzardo, può accadere e non accadere, d’altronde questo sfumare fa parte del fascino del comunicare con i silenzi. Anche per mail, o in tutte le altre diavolerie moderne del comunicare tecnologico.

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Vero, si comunica anche con i silenzi, ma secondo me, devi averla davanti la persona che sta in silenzio. Solo così puoi capire il senso del silenzio.  Altrimenti non è possibile. Il silenzio a “distanza” può voler dire tante cose: non approvazione, disinteresse, noia, stanchezza, … E  non puoi interpretarlo, a distanza.

willy

Non è solo così, bisogna raggiungere uno stadio più alto, che superi il mezzo. Il bisogna è pleonastico, se si vuole si può fare. E i silenzi, quando si attiva una comunicazione si sentono sempre. Quelli che a volte non si incontrano sono i bisogni reciproci, le vite distanti scorrono, hanno zone enormi di non condivisione, eppure si pretenderebbe la stessa attenzione che si conosce quando si è vicini, ci si può vedere, toccare, sentire a naso ed espressione.  Sai che questo è in realtà il bisogno di avere di più, di essere più sentiti ed è dimostrazione di interesse grande, ma è diverso rispetto al passato dell’uomo, quando aveva meno mezzi a disposizione per comunicare.
Affinare il sentire l’altro è una qualità che tutti abbiamo ma che lasciamo perdere perché è difficile, eppoi crea nuovi bisogni, domande, ecc. Per questo credo, la comunicazione verbale e fisica sembra essere l’unica concreta, la più importante, ma è una, non l’unica.

In realtà vorrei parlare di più sul significato dell’usare le parole, quando si scelgono per restare vicini a quello che si vuol dire, quando non si sparano perché tanto vale la sensazione. Questo esige una sintonia profonda, oppure ci si accontenta. Ed oggi, molto spesso, si dice che è indispensabile puntare al concreto, ma in realtà ci si accontenta di quella che sembra la realtà. Basta sapere che non è possibile comunicare profondamente con tutti, anzi nel mio caso, lo faccio veramente con pochi e se ne ho un riscontro negativo mi ritraggo, mi chiudo. In una comunicazione la maggior fatica e soddisfazione (proprio nel senso di piacere) è quando le porte si aprono, non quando si capisce o si sente meno. Io parlo di una comunicazione golosa, non di una comunicazione bulimica, in questo anche il silenzio ha un suo modo forte di parlare.

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In fondo siamo tutti esigenti, resta da capire se i tempi e i modi coincidono, altrimenti la golosità è un piacere a senso unico. Condividere, mi pare necessario, anche le modalità e i limiti. Ne parleremo e i silenzi saranno eloquenti :-).

11 pensieri su “dialogo sulla comunicazione golosa

  1. Nella comunicazione a distanza vi è il mistero dell’inesprimibile, come nella poesia; il segreto che si respira. Possiamo infinitamente dire – e immaginare – sul “non dicibile” perchè la parola scritta crea un’assenza carica di simboli, molto più che l’oralità dove l’immaginazione si lascia tacitare dal visibile: gesti, mimica facciale, perfino un battito di ciglia, un fuori luogo che afferma la realtà immodificabile che, paradossalmente, diventa “mancanza”. Il corpo non mente (quasi) mai, la parola scritta moltissimo, e non per malafede, almeno non solo: d’irrealtà abbiamo bisogno per il sapore goloso dell’eterno, dal bisogno di sopravvivere a noi stessi alimentiamo ogni illusione. Le parole, le idee, i sogni, le sensazioni, solo le “cose fragili” che tuttavia proprio nella loro intangibilità e non verificabilità, possono raggiungere il grado più alto di perfezione e annebbiare il dubbio di un nulla esistenziale. Forse la comunicazione (solo) scritta è l’inganno estremo, specie se la si carica della pretesa di “verità”.

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  2. Scrivo in fretta che di fretta passavo di qui e titolo goloso m’ha attirato come d’argomento.
    A volte capita d’essere lontani ma non distanti.E allora se si è esercitati alla “percezione” più che ai ragionamenti,si “sente” l’altro anche attraverso il silenzio o i silenzi
    Ma perchè questo avvenga è necessario che tra i due,sia stata aperta la stessa porta della percezione e creato un profondo canale comunicativo che “spazia” e “centra”.
    Ovviamente questo vale solo nei casi forzati alla lontananza che,quando si è a questi “piani sottili” la fisicità è duopo,giacchè è la materia che nutre lo spirito,mentre lo spirito “nutrito” l’attraversa e si rinnova nel miracolo che porta meraviglia,ne fa esperienza d’indicibile meraviglia perchè “conosce”, impara e,forse fa anche esperienza di cosa possa essere,sia il bene assoluto.
    Ma che te lo dico a fà?…Mirka

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  3. @mOra: Leggendoti, nella parte più riflessiva (si dice così quando la realtà e la consapevolezza dei limiti rende tutto più netto e meno aulico? :-)), pensavo ad una fune lanciata oltre un baratro che assicura un passaggio che prima non c’era. Il rischio fa parte della vita, assieme alla codardia. Mi fanno paura quelli che hanno sempre coraggio, come pure chi fugge in continuazione, sono entrambi pericolosi al vivere, ma seguendo la propria spinta (chissà perché a volte accade e a volte no, premonizioni?) passare quel baratro diventa importante anche se spesso delude. Quasi sempre delude, e c’è molta assonanza, di questa delusione, con il vivere reale, con i rapporti che pur valendosi del vedere diventano ciechi perché non vogliano vedere la menzogna. Che magari non è neppure tale in quanto non preordinata, ma è semplicemente la speranza d’essere come si mostra d’essere. La parola scritta contiene una nostra immagine, la nostra verità nel momento in cui la scriviamo (e se parliamo di “verità” parliamo di un vissuto, non di un momento), e come per ogni rapporto profondo, esige rigore, un possente respiro di onestà interiore che fa anche male, ma raddrizza il corpo e contempla anche il non dire, perché non si sa, non si può, non si capisce davvero. Il corpo mente meno della parola, verissimo, ma se pensiamo a tutti gli orgasmi simulati, alle situazioni sospese, alla ricerca spasmodica di un equilibrio con ciò che manca, pur nella presenza siamo sicuri che il corpo davvero menta quasi mai? Avere più canali a disposizione per comunicare è una ricchezza, se non si mente consapevolmente con la parola scritta, si aprono altre possibilità e bisogni e quando si passa oltre, la distanza tra l’idea che ci si è fatta e quello che si vede non è così feroce, anzi aggiunge anziché togliere. Basta non perdersi nella parola che per la sua “fragilità” e intangibilità può diventare bastevole. La parola è un antidoto alle domande in agguato sul nulla, ma anche sul pieno satollo di una realtà che vogliamo ci vada bene, insomma una finestra in cui vedere (l’immagine non è casuale :-)) e in cui non si è entrati, e solo se la parola si esaurisce in sé diventa quell’inganno estremo di cui parli. Togliamo la “verità” e puntiamo ad essere noi stessi sempre e comunque,

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  4. ” Vabbuono” disse lo sciagurato quando gli dissero che stava succedendo la fine del mondo e la nave s’incagliava.
    “Vabbuono” e basta.
    Alle volte mica servono tante parole 🙂

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  5. VABBUO’ di Erri De Luca
    Vabbuo’ è una parola tutta intera. Non è “va buo’” che perde tempo in mezzo e rinuncia al raddoppio filosofico della lettera b. Vabbuo’ è spesso l’accomodamento alla realtà, rinuncia a interferire con gli eventi. La donna che tu amavi ti ha lasciato? Vabbuo’. In seconda battuta, se uno proprio insiste a estorcere un commento, una reazione, si può aggiungere: E che ce pozzo fa’?”. Hai perso il lavoro? Vabbuo’. Come? Hai perso il lavoro e dici vabbuo’? Per forza, che vuoi farci, me ne cerco un altro. Qui il vabbuo’ non è solo rassegnato, ma insinua una speranza.
    Vabbuo’ non è l’equivalente di va bene. Il bene qui non c’entra. Qui si dichiara il buono, che è precario. Comme staie? Stongo buono. E’ affermazione prudente, consapevole della prossimità con il suo opposto, che non è il male, invece è il malamente. Rispondere “sto bene” è impegnativo, oltre che temerario. Può attirarsi il malocchio a pronta presa.
    La nave sta affondando e i passeggeri danno l’ assalto alle scialuppe? Vabbuò. Lasciate fare: il migliore degli ordini di quella nottata. Dalla capitaneria di porto intimano di risalire a bordo? Vabbuo’, tanto non ci pensa nemmeno. Il vabbuò può essere insolente. Quel tale ha passato un guaio? Vabbuo’ qui è indifferente. Quel tale non sapeva chi stava pagando la vacanza sontuosa a lui e a tutta la famiglia ? Vabbuo’ qui è dell’incredulo incallito. Gli americani sono sbarcati sulla luna: vabbuo’, dissero i russi amareggiati.
    Voi che dite: quella è la nipote di Mubarak? Vabbuo’, si convinse il funzionario comprensivo. Ti hanno rubato il portafoglio? Vabbuo’, tanto non ci stava dentro niente: qui il vabbuo’ contiene un poco di solidarietà per il ladro sfortunato. Aumentano le tasse? Vabbuo’, che qui è di opposizione: tanto non le pagava neanche prima. Oppure serve a chiudere una disputa, rinunciando al diritto di replica. Vuoi avere tu l’ultima parola? Vabbuo’, concilia uno dei due. E se il Napoli ha perso la partita?: No, qui vabbuo’ non c’entra, qui interviene il mannaggia a questo e a quello. Quante volte al giorno si pronuncia il vabbuo’? Da noi, in varie forme di dialetti e lingue, succede troppo spesso.

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  6. Allora vabbuò, Willy, intellettualizzo troppo. E’ una pecca. E vabbuò, ch’aggi’ a fa’?
    Io sento del lirismo nella comunicazione scritta.Trovo che il riscontro reale sia ben più de-finito e prosaico. Sul linguaggio del corpo sono più che convinta di potermi fidare, sulla comunicazione col mio, su quel che vedo/percepisco di quello altrui. Ho fiducia perchè so cosa sia il corpo percepito quando gli si va contro con volontà d’ impedirsi di/costringersi a/ nascondersi da, ecc… E non parlo di orgasmi finti, quella è roba da tapini. Non capita anche a te di sentire parole che stridono con ciò che il corpo esprime? A volte è una sensazione che arriva e spazza via intere dichiarazioni verbali, formulazioni d’intenti, confessioni accorate… Oh sono regina disincanto, lo so.
    Puntare ad essere se stessi, sempre e comunque, scritto e orale, lo condivido in pieno 🙂

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  7. dal corpo si capisce moltissimo, quasi tutto, anche dal proprio quando si dice qualcosa che non pensiamo davvero. Non so se mi piace sempre la prosa, credo sia un po’ limitante, d’altronde i poeti posseggono la tragicità del sapere come andrà a finire, mica è possibile sempre ascoltarli. Navighiamo a stelle e a vista, dipende dalla voglia, dal coraggio, dalla stanchezza. E guardando negli occhi, non solo per i capillari, si decide se vale la pena di andare al largo.

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  8. Ho letto più len-ta-mente e,ho capito che,qui,c’è più il “compiacimento della parola che la bellezza del suono del silenzio.
    Ma che te lo dico a fà?…
    Però famme capì na cosa.Na cosa importante,eh! Ma TU,ami la parola o la rondine fuori stagione o ppure il piacere (un pò sado-maso) di evocar personaggi-scene-telefoni che vorrebbero squillare ma che son bloccati perchè rapiti dal loro stesso silenzio?…
    C’ho un dubbio,però.Un dubbio serio,eh! Che tu invece sia scrittore, scrittore fino e sofista,sia ben chiaro eh! e che de tutto ne insegua della parola il simbolismo simbolo.
    Beh,con questo de tutto un pò,t’auguro lo jorno pieno e un caffè fatto a dover rigoroso de silenzio vero.
    Ciao,Mirka

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  9. Che te lo dico a fà, mi piace, e allora Mirka, che te risponno a fà?
    Per me la parola è molte cose, se voglio comunicare davvero, ovvero parlare a una persona nel profondo, le parole sono più succo che scorza, e possono essere poche o tante e usano anche il silenzio per parlare. Se invece voglio descrivere e quindi parlare a me e ad altri che non conosco, la parola è significato, suono e colore. Il silenzio qui non serve, perché non direbbe nulla, se non per salutare definitivamente.
    Buona giornata e buon caffè Mirka.

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